Era estate. Il sole di luglio sbiadiva i colori. Nell’implacabile e vibrante aria bollente l’erba si faceva giallognola, e la terra secca si crepava in vere e proprie autostrade per formiche, ormai uniche padrone del giardino: era la tirannia del sole, e non si poteva uscire.
Io stavo disteso sulle piastrelle fresche del corridoio (tra i muri della mia stanza, chissà perché, m’annoiavo). Dopo qualche minuto a contatto con la mia pelle, però, le piastrelle diventavano tiepide e umidicce del mio stesso sudore. Cambiavo posizione, strisciando un po’ più in là, e intanto scavavo con le dita nelle fessure del pavimento.
Fu in un giorno simile, immerso in una simile occupazione, mentre fuori vigeva l’egida di un simile caldo, che a furia di spostarmi un metro più in là arrivai fin davanti alla stanza di Francesca, la mia feroce sorella maggiore.
Sdraiato prono con le dita intrecciate sotto al mento squadrai la pesante porta di legno, chiusa. Vista dal basso sembrava più alta, più imponente, ma quel suo troneggiare non mi incusse timore, anzi aprì gli argini della mia fantasia. Sembrava la porta d’accesso ad un altro universo. Iniziai a vagheggiare, socchiudendo gli occhi e affidandomi agli zoccoli alati della mia immaginazione: folletti, fate? Cavalieri? O c'era lo spazio, dietro quella porta, e Armstrong che mi portava con sé sulla Luna? Che fico, Armstrong. Sorrisi pensando all’eroe scoperto qualche giorno prima, e stavo per cambiare posizione rotolando verso la frescura di nuove piastrelle quando qualcosa mi fermò. Un rumore, un gemito acuto, e il sospiro che accompagna un sussulto improvviso. Veniva da là, da dietro quella porta che ora mi incuteva un po’ più di timore: un non so che mi suggeriva che non sarei dovuto essere lì, che se la spietata Francesca, di sette anni più grande di me, fosse uscita in quel momento… Si sa come sono le sorelle maggiori: non avrebbe apprezzato quella mia posta, che poi posta non era, ma solo ricerca di un po’ di fresco. Andare? Rimanere? Curiosare? Ormai le fantasie dei folletti, delle fate o della luna erano state spazzate via, ora potevo vaneggiare solo di solide realtà. Cos’era stato quel gemito così insolito, ma anche così reale? La noia dell’estate, i divertimenti negati per via del troppo caldo, il piacevole brivido della paura di essere scoperti, tutto questo fece sì che le mie dita intrecciate sotto il mento si slegassero e strisciassero silenziose sul pavimento fin sotto le spalle. Piantai il peso sulle braccia e mi tirai su: mi ritrovai subito rannicchiato davanti alla porta con l’orecchio destro attaccato al legno. Trattenevo il fiato, mentre ascoltavo qualcosa dentro la stanza di mia sorella muoversi in un dondolio costante. Qualcuno dal piano di sotto tossì e i rumori si annullarono. Qualche secondo di vuoto e di silenzio assoluto: tutto sembrò essersi fermato. Per un momento si sentì solo il mio cuore battere fortissimo. Poi ogni cosa riprese uguale a prima: il cigolio ad intermittenza, e quel sospiro, e il gemito, e il sussulto. Aumentavano di volume, d’intensità e di frequenza, fino a che la mia curiosità non poté più trattenersi. Senza pensarci troppo, girai la testa staccando l’orecchio dalla porta e appiccicando l’occhio destro al buco della serratura. Le gambe mi dolevano per la strana posizione in cui m’ero messo, e cercavo di contenere il fiatone causato dalla lunga apnea di poco prima. Né il dolore alle gambe né la sensazione che i miei polmoni potessero scoppiare, e nemmeno la paura che qualcuno salisse le scale e sbucando dal fondo del corridoio mi sorprendesse in pieno spionaggio, furono motivi abbastanza forti da farmi rinunciare a quella nuova visione. La stanza di mia sorella era invasa dal sole, che in questo caso non sbiadiva, ma anzi accendeva il colore roseo di due corpi nudi intrecciati, avvolti uno dentro l’altro, sopra l’alto letto dove io pensavo che mia sorella dormisse soltanto. E scorsi le ciocche bionde di lui, e per un secondo la fronte corrucciata di lei, e poi l’onda del bacino di lui che premeva e ripremeva contro il ventre di lei. Non so dire quanto andò avanti quello spettacolo, so solo che loro sembravano sempre più affannati e la mia bocca era sempre più spalancata per l’eccitazione della scoperta di qualcosa che non conoscevo e che finalmente andava a interrompere quel ciclo smorto di giornate troppo calde e senza fine.
Poi un urlo di donna, da fuori, spezzò l’incantesimo.
-Raimondo!- e poi, più acuto -Raimondo!-
Il biondino fino ad allora fuso nel corpo con mia sorella reagì prestissimo al richiamo materno. Si staccò, baciò Francesca sulla fronte, si rivestì e come un lampo sparì fuori dalla finestra (aggrappandosi ai rami dell'olmo lì vicino era facile salire e scendere senza rischiare troppo). Francesca rimase beata sul letto, completamente nuda, a guardare nella direzione in cui il suo Raimondo era sparito.
Fu così che scoprii la magia dell’amore, e che mia sorella se la faceva con il figlio dei vicini.