I pozzetti, in fondo
sono ancora in buono stato, eppure saranno trascorsi almeno cent’anni
Che caldo faceva in quei giorni d'inverno, ma alla gente poco importava
tutti presi, civicamente attivi
nella ricostruzione
nemmeno all’acqua si badava
che faceva solo sudare, dicevano quelli
vestiti e mangiati, e poi, si sa
il pulito indebolisce il sistema
Ma i giorni passavano, così veloci
che nemmeno avevano inizio
e così, l’attesa stava svanendo
– un po’ come quelli prima di noi
diceva distorta la radio
che poi, il senso d'orgoglio, già
c'imbottiva le pance
le mani spaccate
le foto dei cari sui comodini, i carillon
le bambole di pezza mozzate
alla base del cranio
Era stata dura ripartire da zero
da quella latrina
che ci scivolavi per bene
sugli strati di sugna
che dei morti, si capisce col tempo
non si butta via nulla
non s'impara nemmeno
Ricordo che infine alzammo la torre l’ultima, dell'avorio più spudorato
la più indecente
delle sette sorelle di fumo
d’un grigio così splendente da oscurare
mille metri oltre il livello del cielo
e altrettanti sotto le onde
sin quasi al fondale, che nella luce
si nascondeva il nemico dei pesci
e delle stelle
e tutto ciò che vomitava sui corpi
quella spina dorsale di ferro
era la mancia che ci restava
oltre al grasso colato
Le fogne, in fondo, se la cavano bene
sono ancora in buono Stato
saranno passati cent’anni, da allora