Alarico è un ragazzo lento in tutto. È troppo preciso. Si pone delle domande intelligenti e sospetta che le risposte giochino a nascondersi nelle domande stesse. È lento nel lavarsi al mattino, nel vestirsi, nel mangiare, nel pensare, nel parlare, nello studiare, nel leggere e nello scrivere. Non riesce a stare al passo col mondo. Dovreste vederlo. S'incanta a guardare il soffitto della camera per inciderci qualche pensiero arguto. Il suo ozio è una speculazione filosofica. Una serie ininterrotta di digressioni. È il suo modo di conoscere se stesso e l'ambiente circostante. A volte si fa austero in viso. Altre volte cede ad un ghigno beffardo di indifferenza. A furia di stare supino sul letto o seduto sulla sedia, il sedere gli si è rammollito completamente. Gli spigoli della bocca gli penzolano come panni stesi. È sempre costellato di dubbi, verrebbe da immaginarlo con la testa perennemente fasciata. Legge molti libri, classici della letteratura. Qualche volta, impuntandosi con se stesso, decide di trascinarsi fuori dal letto. Esce di casa con la testa bassa. Passeggia nei boschi per avventurarsi, allontanandosi dal tramestio urbano. Inizialmente è timoroso ma poi prende coraggio e si imbatte in sentieri misteriosi, fitti di vegetazione. Ad ogni elemento della natura affianca una metafora di vita. Esempio: se osserva una foglia gialla attaccata ad un ramo, sul punto di cadere, Alarico associa la morte incipiente e ineluttabile dell'essere umano. Se le rondini iniziano ad assembrarsi nel cielo azzurro della primavera, a lui viene in mente l'infanzia come dev'essere, dove i bambini giocano a rincorrersi su traiettorie improvvisate e a ridere senza alcun motivo. Nel cuore di Alarico si alternano momenti di euforia e gioia inspiegabili dettati da un ottimismo innato a momenti di noia e sconforto che lo disabilitano a condurre una giovinezza degna di essere chiamata tale. Alarico è socievole ma nessuno riesce a fargli veramente compagnia. Alla compagnia dei suoi simili, che tanto parlano ma non hanno niente da dire, preferisce il silenzio, un gatto da accarezzare e un buon libro tra le mani. Se qualcuno gli proponesse di accendere la TV, inizierebbe ad incollerirsi. Sono diversi anni che non legge più giornali.
La notte non riesce a prendere sonno. Si rotola come un involtino nelle coperte mentre i suoi occhi irrequieti fissano il buio. Qualche lacrima attraversa il suo viso romantico e si deposita sulla fodera del cuscino.
All'improvviso gli viene l'ispirazione di scrivere (ad un lettore incallito prima o poi viene anche la tentazione di scarabocchiare due frasi). Quando Alarico ha iniziato a scrivere, ha iniziato pure a sorridere. Come se da una noce di terra su di una parete in cemento armato fosse sbucato un filo d'erba. Ma non è stato facile all'inizio. La punteggiatura e le congiunzioni gli hanno dato filo da torcere, così come elaborare una trama coerente con il contesto storico. Alarico si scoraggia facilmente. Questo sconforto lo mette sul binario morto di una visione nichilista della vita.
S'insinua nella sua mente con la forza di un tarlo instancabile l'idea che l'uomo in realtà desidera solo liberarsi, cioè morire. All'uomo non interessa vivere perché cercare di vivere equivale ad affannarsi. E per cosa? Per essere ripagati con la morte. Quando questi pensieri incontrastati, come ronzii senza posa, si accaniscono nella mente di Alarico, lui non riesce a mettere i piedi giù dal letto. Le lancette dell'orologio si trascinano spossate in un futuro ingannevole. Alarico non ha mai avuto, nell'intimo, qualcuno che gli asciugasse le lacrime dal viso e gli desse una pacca sulla spalla. Alarico è un tipo di ragazzo che prova a fare qualcosa. Alarico prova ad aprire un lucernario nel cranio per far filtrare le luci fresche dell'alba e respirare. Alarico aspetta. Si è fatto il callo. Ma aspettare come sperare, equivale a morire. Questo valore cristiano della speranza, dell'attesa di un premio, in realtà è un gas letale invisibile. Lo avvelena uccidendolo a rate. Se Alarico cedesse al male, troverebbe risposte pragmatiche, diventerebbe un delinquente felice e si godrebbe un po' la vita. Ma c'è una voce nascosta dentro di lui, come una mano invisibile, che lo dissuade dal cercare scorciatoie. In realtà Alarico non è ancora pienamente cosciente di essere nel pieno del suo romanzo di formazione. Ma è stanco di credere in se stesso. È stanco di stare in apnea. Alarico non è capace di scrivere una frase divertente. Alarico scrive solo cose tristi. Lui avrebbe bisogno che qualcuno lo raccolga come un gatto da terra e lo mettesse al sicuro. Alarico ha bisogno di credere che qualcosa di straordinario possa ancora accadere. Che sia egli stesso ad elevarsi oppure la fortuna, Alarico, orfano di ogni entusiasmo, in ogni caso, come da tanti anni ormai, aspetta in silenzio.