6:30, suona la sveglia. Ho sempre detestato quel suono al mattino. E’ troppo presto, forse potrei dormire ancora un po’, altri cinque minuti, non di più.
Il tepore sotto le coperte è così piacevole. Cado in un sonno profondo.
Sono bendata, con le cuffie del walkman sulle orecchie. Due mie compagne di classe mi portano nel bagno delle ragazze, mi liberano dalla benda e azionano il walkman. Parte Save a prayer, mi guardo intorno e su tutte le pareti ci sono i loro poster, sono proprio belli, più di tutti John con quel sorriso un po’ infantile. Adesso sono allo stadio ad ascoltarli dal vivo, tutto è amplificato, sono ebbra di musica e grida, mi gira la testa, sono come sulla giostra…
-Anna! Anna! Svegliati, è tardi- grida mia madre- papà è già sotto che ti aspetta.
Come ogni mattina mio padre mi accompagna a scuola, è lui che mi porta il caffè a letto, ma oggi non so perché non l’ha fatto, immagino avesse fretta. Mi sveglio di soprassalto, sconvolta, cerco di preparami più in fretta che posso. Mi guardo allo specchio, brutta idea, provo a sistemarmi i capelli, ingurgito qualcosa di non ben definito per colazione. E’ tardi, tardissimo, maledizione, come ho fatto a riaddormentarmi? Ma almeno, anche se solo in sogno, li ho visti. Non c’è nessuno che mi può accompagnare a Palermo per il loro concerto. Oggi ho il compito di greco, che tormento, con la Toscano non si sa mai cosa aspettarsi, tutto è possibile, dalla versione più stupida e insulsa a quella più incomprensibile. Non ho mai capito con che criterio le scelga. Il mio preferito è Panebianco, il professore di italiano, maglione bucato, aria da ex sessantottino un po’ sfigato, attivista di Amnesty International, animalista convinto, chiarissimo quando spiega: un innovatore. L’anno scorso con un amico regista ha messo su una pièce teatrale coinvolgendo tutta la classe. Io impersonavo una di quelle donne “pericolose” che nel Medioevo finiva sul rogo solo perché si interessava di alchimia o semplicemente perché studiava discuteva pensava, una strega, insomma, con tanto di maschera di cartapesta e di tunica fatta di stracci. Se mai farò l’insegnante, voglio essere come lui: un’innovatrice.
Basta! Devo darmi una mossa. Indosso la mia divisa giornaliera, jeans rigorosamente a vita alta, maglione extralarge, scarponcini da boscaiolo. Infilo il Bomber, zainetto Invicta in spalla e giù, sette piani a piedi di corsa. Non ho tempo di aspettare l’ascensore.
Arrivata in strada, vedo l’Alfa Romeo di papà posteggiata all’angolo, apro la portiera sul retro, lancio con assoluta disinvoltura lo zainetto e mi accomodo, ma c’è qualcosa che non va, sarà la tappezzeria o l’odore dell’auto. Appeso sullo specchietto retrovisore c’è l’Arbre Magique, ecco da dove viene quell’odore di muschio bianco misto a mentolo. Al volante vedo una sagoma corpulenta poco familiare. Guardo meglio. Mi accorgo che anche dal lato passeggero c’è un tizio che non conosco. L’uomo si gira verso di me. E’ anziano, ha la faccia rugosa e gli occhi cisposi, e con voce rauca e impastata mi dice:
-Buongiorno signorina, ha bisogno di un passaggio?
Non è possibile, ma dove ho la testa. Impallidisco, la gola è strozzata, a stento farfuglio delle scuse, prendo lo zainetto e scappo via più veloce che posso…
6:30, suona la sveglia. Su alzati pigrona, non vorrai mica combinare un altro pasticcio come ieri!
Ma il tepore sotto le coperte…Forse…
Forse potrei rimanere a letto ancora un po’, che saranno mai cinque minuti.