“Il guaio di ogni aforisma, di ogni affermazione, è che può facilmente diventare una mezza verità, una fregnaccia, una bugia o un appassito luogo comune” (Charles Bukowski).
Amo gli aforismi,
audaci stilettate che aprono varchi al pensiero e fiottano dalla pienezza della coscienza, dalla mirabile abilità umana di costruire con l’incorporea materia dei suoni e demolire con il potere e la magia delle parole.
Amo gli aforismi, che impongono il silenzio in onore della saggezza umana e sfrigolano come cerini nell’oscurità di notti insonni, ospiti inattesi che svezzano l’anima e tacitano i sentimenti e i sogni arbitrari.
Amo gli aforismi, che sviscerano la realtà per l’urgenza e l’obbligo di essere onesti con sé stessi e l’altruità. Amo quelli che annientano le riserve o accorciano i tempi, che cancellano le attese e annullano i rinvii, che disvelano cose che non sappiamo, che frantumano le polverose certezze, e ci consegnano a un dubbio o ci lasciano davanti a cippi incisi, dove scopriamo la distanza tra la verità e le illusioni.
Amo gli aforismi che non somigliano a sentenze e requisitorie, ad arringhe o tediose omelie, quella sintesi perfetta e incompiuta, il gioco al rilancio tra la sapienza di chi parla e l’intelligenza di chi ascolta, la brevità che libera l’oratore dalla paura d’essere frainteso, e l’interlocutore dal fastidio di un prolungato ascolto. Raro che le brevi missive si perdano nell’assordante cicaleccio, prima di rombare di verità e strappare un attimo d’attenzione e insidiare l’indifferenza e la noia. Talvolta si tendono come una corda davanti ai passi distratti e stanchi, ci costringono a guardare dove mettiamo i piedi, o almeno a chiederci il senso delle peregrinazioni quotidiane alla ricerca di qualcuno che ci spieghi il senso della vita.
Amo gli aforismi che cadono lievi come una manciata di suoni seminata sulla via, che schiudono le labbra a un sorriso, o che addentiamo come orafi inesperti che saggiano la bontà dell’oro.