Ho un taccuino. Sul taccuino scrivo. Ho un lavoro e, al lavoro, non faccio altro che lavorare. Tutto il tempo, tutti i giorni eccetto due, per turni di sei ore non stacco le retine dallo schermo. Non sopporto che gli amici mi dicano: beh, non ti lamentare, anche io lavoro al computer.
Non lo sopporto.
Primo: perché non mi lamento.
Secondo: perché non lavoro al computer.
Il computer lo seguo come un cane da caccia. Non posso mollare la presa, mai.
Sono quello che al check-in ti fa buttare via la bottiglietta; quello che ti rompe il cazzo per le creme al karité; quello che ti requisisce i fagiolini sott’olio che hai nascosto nello zaino. Addetto ai controlli di sicurezza in aeroporto, tecnicamente. Insomma, quello che non gira nemmeno il collo per guardarti, non spreca parole - deficiente, pensavi che non ti beccavo - basta un cenno del mento ai colleghi delle perquisizioni. Ecco, quello sono io.
Come dicevo, ho un taccuino. Sul taccuino annoto tutte le cose strane che vedo nei bagagli. E devo dire che ne vedo parecchie. È il mio hobby.
Tiralatte
Ukulele
Manette
Pentola
Mano porta anelli
Nano da giardino
Procione impagliato.
Mentre osservo i contorni verdi e arancio su fondo bianco, classifico i proprietari.
Madre stressata
Artistoide da due soldi
Studentessa dalla doppia vita
Suocera che si porterebbe dietro la cucina.
E così via.
Classifico le persone senza guardarle, come se passassero anche loro da uno scanner.
Di solito non sbaglio. Gente strana, esibizionista, compulsiva. Gente deviata. Che tipo di uomo ficca in valigia un nano da giardino? Alcuni di loro mi fanno pena. Altri mi attraggono, mi eccitano. Annoto i loro nomi inventati sul taccuino.
Lina
Danilo
Eva
Adele
Marcello.
E così via.
Oggi è una giornata smorta. Niente di strano in giro. Solo trousse piene di flaconi. È il turno di una borsa viola: accendino, idrogel - confezione piccola, non supera i 33 cc - un quaderno, carta appallottolata - perché la gente usa le borse come pattumiere? - un sacchetto con i resti di un panino – appunto! - una pezzolina per le lenti, un anello piccolo, un anello con pietra.
Sento lo scatto della curiosità - clic - due anelli perfettamente visibili che sembrano in vetrina dal gioielliere. Riguardo il contenuto e mi accorgo che gli anelli sono infilati dentro due salsicce grigie e minute, una un po’ più piccola dell’altra.
Scrivo mentalmente sul taccuino:
Anello piccolo, dito piccolo
Anello con pietra, dito grande.
Comincio a sudare. Sposto gli occhi dallo schermo per cercare la proprietaria. In coda c’è un anziano in attesa che ci sta mettendo tantissimo a levarsi le scarpe. Ha creato un tappo. Dietro, un uomo in giacca e cravatta, un adolescente con una chitarra.
- Di chi è la borsa viola? - chiedo. Mi esce una voce che è quella di sempre: piatta, professionale.
I miei colleghi la mettono da parte. Non arriva nessuno a reclamarla. Intanto l’anziano ce l’ha fatta. E anche il manager che è già schizzato via verso il suo volo. Chiedo ai colleghi di rimettere la borsa sul nastro. Questa volta riesco a scorgere i cerchietti perfetti delle unghie.
- Allora, chi è il proprietario di questa borsa? - Alzo la voce.
Chiedo a un collega di darmi il cambio. È arrivato il momento di perquisire la borsa viola.
- Ci penso io - mi dice il collega. Mi metto tra lui e la borsa: - no!
Poi aggiungo più calmo: - non ti preoccupare, ho bisogno di staccare un attimo dallo schermo.
Con delicatezza mi districo tra le vaschette di plastica e porto la borsa verso una delle postazioni di perquisizione, dietro a un pannello di metacrilato. Infilo guanti di plastica blu. Ho il cuore sudato, le mani sudate. I guanti non entrano. Poi entrano.
Eccomi, sono pronto. La zip si apre con un ronzio che sento correre lungo la schiena.
Il taccuino su cui ho scritto oggi è il numero 13. Ne ho altri 12 nascosti in un armadio insieme alle cose che metto da parte per la mia collezione: oggetti sottratti, requisiti, abbandonati che da regolamento, dovrebbero finire nella spazzatura.
Vado in cucina a cercare una bottiglia di vino. Canticchio. Sono su di giri: la mia collezione da oggi ha due pezzi molto speciali.
Penso al magazzino dell’aeroporto, dove stanotte (e per chissà quanto tempo) una borsa viola rimarrà nel deposito oggetti non reclamati. Una procedura normale, non è stato dichiarato niente di strano sul loro contenuto. Penso a come sono stato veloce. Nessuno s’è accorto di niente. Faccio posto sul tavolo e deposito con cura gli oggetti.
Il primo: un piccolo fagotto avvolto in una pezzolina per le lenti che srotolo; dentro, due dita rigide ma complete – falange, falangina e falangetta - con gli anelli infilati di sbieco.
Il secondo: un quaderno di pelle nera che apro sull’unica pagina scritta. Ricopio le frasi sul mio taccuino.
Poi, invento un nome: Mirna.
Storia delle tue dita
Il pollice è andato al mercato
L’indice la droga ha comprato
Il medio non ha pagato
Perciò l’anulare s’è scusato, gli anelli ha regalato
E insieme al mignolo, per la vergogna,
mozzare s’è lasciato.