Il primo quadro venduto.
Non da lui, dalla moglie.
Un ritratto, un insieme banale di banalità. Aveva odiato quel quadro fin dal primo minuto. Lo aveva fatto controvoglia, con il naso che gli sanguinava per le continue epistassi. Non mangiava, era arrivato ad usare i colori del suo cibo, i suoi stessi colori, per colorare le sue fantasie. Nutriva i quadri, lasciando marcire il suo corpo scheletrico. La moglie lo aveva avvisato. Non poteva continuare così.
Una sera era tornato a casa, aveva preso il pennello e aveva fatto quel ritratto. “Ritratto di donna morta”, lo avevano denominato. Si, perché dare un nome ad un quadro era per lui il corrispettivo di dare un cognome ad un bambino. Che ne sa se quel cognome fa per lui, se quella famiglia lo assottiglierà, lo piegherà sotto la sua scarpa borghese, lo vedrà rammollire, quando sarebbe potuto essere un ottimo medico, signora. Purtroppo, alcune mele, sa come funziona, cadono lontano.
Lontanissimo, non aveva mai fatto un ritratto così da lontano. La donna stava riversa a terra, la testa un grumo di sangue, le labbra rosse circondate da piccole bolle immobili, gli occhi aperti in un grido disperato di terrore. Come una statua di Pompei, era morta, ma sembrava ancora là, vittima di un un’eruzione di follia.
Aveva ritratto tutto lasciando che il suo stesso sangue colorasse il pennello, rendendo quell’amore per la morte un amore carnale.
Solo in seguito,dopo aver terminato, aveva chiamato la polizia.
Il quadro era finito, sul cavalletto. Sarebbe divenuto il quadro del secolo, lo avrebbe reso celebre per sempre. Quel quadro lo avrebbe inseguito come un sogno, un incubo di scintille che non si accendono, in attesa del prossimo quadro, del capolavoro incendiario. Capolavori che non lo avevano mai reso felice. Disperato, l’ispirazione che gli sfuggiva via dalle mani ormai grassocce, nelle periferie, nei bordelli, perfino negli obitori, con una piccola mancia su mani sudate.
“Mancia su mani sudate”, il suo ultimo successo, nessuno lo aveva capito davvero, ma era stato applaudito da delle mani inguantate con sorrisi obliqui.
Lo trovarono una mattina di primavera, impiccato davanti ad un grosso specchio, i denti bianchi scoperti in un ghigno.
Dietro di sé, il suo ultimo capolavoro: “All’ultimo respiro”.