La pioggia tra la luce diffusa dominata dal verde, suonava le foglie sopra di loro.
Il suo compagno le teneva sulla testa una grande foglia di felce e lei sorrideva.
Guardava il suo volto rugoso, le sue grandi narici e gli occhi marrone.
Lei lo guardava, lui non la riconobbe mai.
Fino alla sua morte lei avrebbe aspettato un suo sorriso, che la liberasse da quella strana sensazione di solitudine.
Un giorno lui, mentre si arrampicava su un albero, perse la presa e cadde malamente su una radice.
Il branco lo raggiunse subito ma si accorsero presto che non si sarebbe più mosso.
Lo lasciarono solo con lei che ostinata scuoteva il suo corpo, cercando le sue carezze.
Solo qualche mese più tardi lei divenne madre.
Il suo piccolo batuffolo di peli divenne l’unica ragione della sua vita.
Non lo perdeva mai di vista e quando doveva muoversi, si assicurava che restasse avvinghiato a lei.
Il suo piccolo cresceva e tutto il branco si scopriva coinvolto nelle sue avventure.
Dopo circa due anni, la foresta sembrava non avere più segreti per lui.
Si muoveva agile e sicuro tra i bassi rami come al suolo.
Una mattina al risveglio del branco, la madre notò subito la sua assenza.
L’alba piovosa del Borneo, la nebbia persistente, i suoni della foresta, ora tutto sembrava un pericolo.
Poi lo vide, era di spalle, eretto sulle zampe posteriori, ancora parzialmente coperto alla sua vista dalla folta vegetazione.
A pochi metri da lui la sua presenza era ormai tradita dal rumore dei suoi passi che spezzavano il suono della pioggia.
Solo in quel momento lui si voltò a guardarla.
Ora ne era certa.
Non sarebbe stata più la sola.