Trovo che la moquette con cui hanno rivestito le mattonelle esagonali del vecchio pavimento in cotto sia veramente un oltraggio. Non s’intona per niente col legno di mogano degli armadi a muro che la Fondazione ha regalato all’ufficio tre anni fa, né con le pareti affrescate dal Tiepolo in questo palazzo del Settecento in cui mi trovo intrappolato ormai da più di sette anni. Da quando hanno messo la moquette l’impresa di pulizie non lava più per terra e il pavimento è diventato un ricettacolo di microbi insopportabile per la mia salute cagionevole. Diciamo che ormai ho una certa età e mi piaceva così tanto la geometria di quelle mattonelle in cotto. Ogni tanto mi perdevo ad ammirare quella loro perfezione che sapeva d’antico, come me. E questo è l’ultimo affronto che mi hanno fatto in ufficio.
Vi confesso che è diventato un vero schifo passare le giornate qua dentro, e mi sento mancare dopo tutte le ore passate immobile ad ascoltare le stupidaggini di questi idioti che si trascinano dalla scrivania al Bloomberg esultando per l’ennesimo salvataggio bancario o per l’ultimo rimbalzo dei mercati che mi ostino ad osservare dal basso della scala gerarchica. Hanno sempre ragione loro. Da quando ho lasciato il settore degli oggetti per la casa nel 2001 ho girato parecchi uffici all’interno di questa compagnia finanziaria, senza mai trovare la giusta distanza da tutto. Non posso nemmeno spiegarvi il senso di soffocamento che provo ora al secondo piano, ufficio studi e analisi, da quando sono sommerso di scartoffie che giorno dopo giorno si accumulano sulle scrivanie, e diventano una valanga insostenibile per me che ho sempre amato piuttosto la leggerezza della carta dei cioccolatini o di quella per impacchettare i regali. Lo so, sono goloso. E poi io i numeri non li ho mai potuti sopportare. Eppure mi ritrovo qui sommerso da grafici, serie storiche, tabelle, bilanci prima studiati, spulciati, fotocopiati, e infine strappati e buttati via.
Purtroppo riconosco che i colleghi non hanno apprezzato la mia natura solitaria e silenziosa che poco si addice al loro entusiasmo frivolo e infantile.
E così ci hanno preso gusto a rovesciare di tutto su di me, compreso il peggior fango. Accadde la mattina di un acquazzone che non potrò mai dimenticare. Mi ribaltarono come un calzino per tutto il giorno. Ed io muto. Ho accettato passivamente qualsiasi tipo di umiliazione. Ma cosa avevo fatto per essere trattato così? Una volta hanno persino rovistato tra le mie cose in cerca di chissà quali carte, di chissà quali rivelazioni sul mio conto. E poi mi hanno spostato da un ufficio all’altro come meglio credevano cambiando idea decine di volte su quella che doveva essere la mia collocazione in azienda, senza chiedermi un parere. Non ho mai osato fiatare. Hanno intaccato il mio bordo solido pensando di potermi corrompere.
Un giorno, ma non ci voglio pensare, c’è stato anche chi ha avuto il coraggio di prendermi a calci, qua dentro. Lo imputo al nervosismo di una grossa perdita in Borsa, ma in tutta onestà, posso solo dirvi che proprio non me lo meritavo. Ho sopportato qualsiasi tipo di umiliazione ingiustamente. Nemmeno gli sputi sono mancati. E adesso che mi accingo ad attraversare il mio miglio verde qua dentro, provo soltanto un senso di pace e di sereno abbandono, perché per altro marcio non avevo proprio più spazio.
Sono le 07:00 e come tutte le mattine sta per arrivare Rasha, la mia premurosa Rasha, la delicatissima Rasha. Non le ho mai potuto vedere i capelli perché sono avvolti nel velo. Chissà quale segreto nasconde là sotto per permettere alla sua religione di negarlo agli occhi del mondo. Confesso che ciò che avrei desiderato di più in questi anni (ora che tutto sta per finire non ha più senso nasconderlo) sarebbe stato vedere i capelli di Rasha, se si fosse tolta quel velo quando eravamo soli io e lei e si fosse creata un po' di intimità tra noi. Se solo gliel’avessi chiesto… Ma non ne ho mai avuto il coraggio per quanto le sue mani mi abbiano sfiorato così tante volte. L’amore inconfessato per lei non rientra nella mia natura. Oggi Rasha mi svuoterà come tutti i giorni, ma sarà per l’ultima volta. Porterà un nuovo cestino e anche a quello infilerà il suo velo nero di plastica.
Non li rivedrò più, finalmente. Mai più Bloomberg, mai più broker isterici, mai più grafici, mai più freccette verdi o rosse in su e in giù. Mai più pranzi digeriti male e irrispettosamente vomitati addosso a me al cospetto del Tiepolo. Mai più Rasha a svuotarmi e ricompormi delicatamente.
La vecchia plastica lascerà il posto alla nuova, pronta ad essere violata da altra sconveniente immondizia che la mia logora esistenza non può più permettersi di accogliere. Già me lo vedo il giovane cestino solo e immobile in quell’angolo, chino rispettosamente sulla nuova moquette, lanciare un compassionevole sguardo all’ennesima pallottola di carta che non lo ha centrato sulla griglia di cotto esagonale che non esiste più.