«Ava, la nuova Tabaccaia». Il Pescivendolo sorprese tutti alla Fortezza Bastiani con una risposta puntuale a chi si interrogava sull’identità della figura che spiccava fra la folla addensata nella pista da ballo. C'erano spose, beghine, serve, sante, escort, streghe, lolite, fate turchine – quasi a sintetizzare l’ossessione dell'uomo ariminense per una femminilità bipolare: quella di una donna con la gonna che in casa stira le camicie e non medita su Nietzsche, mentre sul pagliericcio di un retrobottega, o in un letto a baldacchino del Grand Hotel, lo attende il corpo lussureggiante e sottomesso di una bella troiona.
Ava era la gloria e la degenerazione di tutte loro: una Gradisca, una Gigantessa, una Rosina, una Paciocca, un'Anitona - due compatte masse nevose al posto del seno, natiche come montagne, tronchi di quercia invece che gambe, occhi da lupa. Danzava sulla vetta di un cubo la suite Ocean, matematicamente strutturata dal Piccolo Ed in centoventisette frasi, utilizzando un algoritmo che traduceva in azioni coreografiche i dati climatici dello scioglimento del ghiaccio polare.
Poi Earnest tornò agli abituali standard di comprensibilità: «Persino il lodato pavone non è tanto superbo».
Il Maestro cercò di fare un po’ di luce: «In che senso? Ti riferisci al fatto che il pavone è lodato sempre da tutti o al momento particolare in cui un pavone è appena stato lodato?».
«E con “superbo” intendi “bellissimo” o “altezzoso”?» volle sapere il Capitano.
Il Custode non era interessato alle discussioni di natura filologica: «All right, boys, enough chitchat».
Ed non capì: «Eh?».
«Ragazzi, lasciamo perdere le pugnette» tradusse il Pescivendolo. «Dopo le ventitré la Tabaccaia è libera. Qualcuno vuole fissare un appuntamento per un massaggio? Tim?». Il Custode accennò un sì. Gli altri tornarono con lo sguardo a quella donna dal petto enorme, messo in evidenza dalla camicetta bianca creata da John Galliano usando il materiale fetish per eccellenza, il lattice (pezzo di punta della collezione Hard Core Romancesu), su cui svettava una cravatta nera come la gonna bondage in pelle firmata Jean-Paul Gaultier che ne stringeva le cosce erculee e il minuscolo berretto di Moschino con un teschio ricamato sulla visiera in bilico sulla testa giunonica.
«Tim, Snaporaz che non sei altro, hai visto quell’uniforme nazista? A me fa paura, potrebbe essere un Vampiro travestito» si lamentò il Piccolo Edvard.
«Perché non il cadavere di un impiccato in incognito?» interloquì il Roc. Dopo aver rinunciato alla meditazione, cercava conforto nella compagnia degli amici e nella vitamina C di una vodka all’arancia. In notti come quella, amava atteggiarsi imitando il Marlowe raccontato da Fellini in una celebre serie tv. Ispirandosi allo stile di Chandler, il regista voleva, così disse, «riferire fatti criminosi, di sangue, di indagini, attraverso i quali non era però possibile capire niente, risalire a un disegno, a un piano, a un consolante scioglimento dell’enigma». Il protagonista, un ex poliziotto romagnolo interpretato da Martin Potter (l'Encolpio del Satyricon già spalla di Robert Mitchum ne Il grande sonno), costretto dai vincoli rigidi del sistema, finiva per essere «il comprimario di una realtà sfuggente, ingovernabile dalla logica». Il Roc trovava che questa fosse una perfetta descrizione di sé. Perché la realtà, per il Roc come per Fellini, restava un oggetto inafferrabile, dai contorni indefinibili. E «Chandler proprio questo aveva fatto, calarsi con infinito talento di narratore dentro l'inafferrabilità di quello che ci proponeva». Per tentare di catturare, ovviamente senza riuscirci, «il gioco misterioso, irrazionale e inconoscibile della vita».
«Nazist o cadévar… How can you not touch yourself when you look at her, con tutta quella roba… a me mi fa ssss… venire» sbavò il Custode. Ma le parole gli morirono in gola. La Tabaccaia svaniva. Sparivano la testa, le braccia e il petto, come l'incubo di qualcuno che si stesse risvegliando a fatica.
Il Capitano era esterrefatto: «Per mille balenottere azzurre!».
«Non è niente». Earnest si affrettò a rassicurare gli altri. «La ragazza ha un problema ormonale». Ma sarebbe stato più facile nascondere il classico rinoceronte in salotto.
«Problema ormonale? A me sembra una forma conclamata di morbo di Planck. È una malattia genetica rarissima negli umani (benché diffusa, bizzarramente, fra i gatti del Chesire), determinata da un’oscillazione degli elettroni a livello subatomico nelle molecole del sangue, che avviene a intervalli irregolari. Determina la temporanea sparizione di alcune o tutte le parti del corpo e talvolta anche fenomeni di levitazione». Il Maestro aveva una spiegazione per ogni cosa.
Il Custode, per un attimo, sembrò scosso: «Boia d’un mondo...». Quando si riprese, però, rinnovò il suo ordine: «Sign me up for a double massage, please».
NOTA. Snaporaz era il nomignolo fumettistico inventato da Federico Fellini con cui il regista chiamava affettuosamente Marcello Mastroianni.