Citrosodina in granuli
Quando la mia amica Julie parlava, avevo l’impressione di trovarmi in un negozio di souvenir. Di quelli colmi di oggetti inutili per i turisti. La sua presenza era simile a palle di vetro, quelle che devi capovolgere e scuotere perché la neve imbianchi il personaggio incollato sullo sfondo. Guardavo dentro al vetro e ci stava lei, immobile e in attesa di essere scossa. Si presentava all’improvviso davanti al mio videocitofono, nelle prime ore del mattino perché soffriva di insonnia. Guardavo la sua faccia dentro al piccolo schermo: il bianco delle sue pupille e quei denti fosforescenti, il biondo platino che virava al giallo e
la ricrescita come un’aureola di santa, ma a lei piacevano così i suoi capelli. Suonava due volte. Era il segnale per farsi riconoscere. A volte protestavo, le dicevo di essere ancora in pigiama.
“E allora? Il caffè non ce lo fanno se non abbiamo la minigonna?!
Urlava al portone e vinceva sempre lei.
Julie era contraria ad ogni bevanda allungata. Il caffè solubile, la birra mischiata con la gazzosa ,vino bianco e succo di pesca. Quando uscivamo a bere, ascoltava le ordinazioni agli altri tavoli e commentava ad alta voce.
“O una o l’altra”!
La sentivi puntualizzare dal suo sgabello, mentre gli sguardi su di lei mi facevano avvampare e lei non ci faceva nemmeno caso. Era forte Julie. Insieme a molte altre qualità che non sapeva di avere ma che io trovavo irresistibili, come quando ordinava una bottiglia di vino rosso e mi assicurava di poterla finire da sola. “Sono un uomo io” si giustificava, e a me venivano i brividi e uno strano formicolio sotto la pancia. Ma facevo finta di niente per poterle dare la soddisfazione come fanno i bambini quando non vogliono finire il dolce, e lo mordono piano. L’alcol le modificava i tratti ed era ubriaca, lo sapevamo entrambe, anche se non le piaceva ammetterlo. Cosa vedevano gli altri avventori del bar? Niente che gli interessasse. Julie era una gelatina di gambero, pastosa e tonda, non piaceva a tutti ma sapeva riderne, dei suoi difetti. Nelle sere in cui beveva di più, mi illudevo di sapere cosa fosse Julie per me. Fissavo il biliardo e lui mi lanciava segnali inequivocabili. Palla gialla nel buco, lei finalmente capisce. Palla rossa, meglio lasciar perdere. Un sabato sera era passata a prendermi alle undici e ci eravamo avviate al solito locale, non aveva smesso di parlare un secondo e io respiravo il suo odore. Non dubitavo che lei potesse piacere agli uomini, ma avevo creduto che a lei non interessassero poi così tanto. Storie di carezze appiccicose e corpi
sudati uscivano dalle sue labbra tonde ed io allontanavo il pensiero concentrandomi sull’alcol. La trattavano come una di loro, diceva. Erano attratti dal suo lato mascolino-li eccitava- mi aveva assicurato Julie mentre svuotava il bicchiere. Avevo ascoltato gli amplessi della mia amica facendo si come una bambola a molla. Quel sabato notte Julie pareva la Madonna, pallida e bellissima, sempre aggrappata al suo bicchiere. Aveva dato soprannomi divertenti ai suoi pretendenti seduti al tavolo accanto. Me li elencava spalancando le dita grassocce nell’aria: il lupo, denti neri e cisti sulla faccia. Li dipingeva nella loro brutale semplicità, cosciente di poter aspirare a gente migliore, senza crederci veramente. Il locale era ormai deserto ed eravamo rimasti in tre, io speravo di andarmene con lei ma lupo aveva ordinato un bicchiere di gazzosa e si era avvicinato a noi. Aveva fissato la mia amica oltre il vetro del suo bicchiere e Julie era scoppiata a ridere. Avevo tossito forte ma solo il braccio grasso di Julie aveva spinto il suo bicchiere nella mia direzione, senza smettere di parlare. Aveva alzato il suo bicchiere, lo aveva portato alle labbra ma si era accorta che era vuoto quindi lo aveva posato, confusa. A lupo aveva domandato cosa si facesse all’alba di una domenica qualunque. Non mi piaceva pensare che fosse già domenica. Non era brutto, quell’uomo. Ma passava inosservato e questa era forse tra tutte, la mia paura più grande. Julie era attratta da quello che non stava in primo piano e non era con me che avrebbe terminato la notte. Non mi era venuto in mente nulla da dirle. Allora le avevo fatto un cenno di saluto con le labbra più allargate che potevo. Mentre lupo e Julie uscivano assieme, sembrava uno strano scherzo. Lei dentro alla sua palla di vetro in attesa di essere sommersa dalla neve sintetica ed io seduta da sola, con i granuli di digestivo nella borsa che sapevo mi avrebbero aiutata. Bastava prenderne una manciata sotto la lingua a intervalli regolari, per venticinque ore circa.