Odio i bus, odio le maniglie. Unte. Sempre a doverle pulire, ‘ste mani, disinfettare questo schifo. Mi abbasso sulle ginocchia, gambe unite. Apro la valigia, tiro la zip. Sobbalzo, un buco, un dosso. Ancora un po’ e cadevo.
È notte, con un po’ di calma si potrebbe anche viaggiare lisci, levigati. Altro dosso, ‘sta volta non mi frega.
Quasi arrivata. Devo pigiare quel tasto giallo, schifoso. Lo faccio con la salvietta accertandomi di non toccare quel lato lì. Unto.
Sono sola, forse nemmeno serviva toccarlo.
Amen.
Metto in pausa la musica, sfilo una cuffietta, sia mai che l’autista mi dica qualcosa. Mi avvicino.
Sta zitto, la porta si apre e faccio per scendere.
Buonanotte, faccio, lui non risponde. Dal vetro mi accorgo che mi sta guardando il culo.
Mi giro, gli lancio un’occhiata. Ancora?
Coglione, dico scendendo, sottovoce.
Spero che mi abbia sentito. Coglione. Cuffietta e ancora una volta, ‘sta canzone mi piace.
Giro di piano, dio ma mi piace. La nuova stella di Broadway, stella, come me. Stella. Mi piace che ci sia il mio nome.
Stella.
Speriamo che non ci siano quei tossici dietro l’angolo. Poche luci lungo la strada, sono stanca. Non c’ho voglia di preoccuparmene, evitarli, loro e i loro cucchiai. Le stagnole a terra e i mozziconi di sigaretta. Magari qualcuno, a terra. Non c’ho voglia nemmeno di cambiare lato della via.
Non ci sono.
Suona, la canzone, ha un ché di eccitante. Mi piace.
I miei portici, finalmente. Arrivo alla porta del condominio, prendo le chiavi. Basta cuffiette, li sfilo e li faccio cadere in tasca. Che bella canzone...
Stella.
Terzo piano.
Una mano alla maniglia, l’altra a reggere i bagagli. Apro la porta, piano. Nessun rumore, in appartamento. E buio, silenzio e buio. La richiudo, lentamente. La accompagno.
L’interruttore schiocca nel silenzio. Appoggio il bagaglio a terra, mi sistemo la fascia. Devo essere bella.
Mi accarezzo il vestito, mi sistemo. Due tacchi.
Due tacchi a terra.
Ho un lieve coccolone in gola…
… sono belli quei tacchi.
Rimango immobile, io, e lì, a terra, tacchi.
Spengo la luce, schiocca l’interruttore. Buio e silenzio in appartamento. E di nuovo clik, riaccendo.
I tacchi, ancora lì.
Chissà se sono del mio numero.
Sospiro un sorriso, penso a lei… chissà se è bella, lei. Ho quella canzone in testa, dice stella… Stella.
Stella.
Stella.
Stella.
Sospiro un sorriso, un altro. Mi viene da ridere, non so perché ma mi viene da ridere. E sono eccitata, eccitata da morire.
Passo dopo passo cammino in cucina. Che bel suono, i tacchi a ritmo di musica, sottovoce, la Stella di Broadway. Me lo immagino quando sale su, la voce.
Apro un cassetto, prendo questa lama, la più lunga.
Vediamo se è in camera, lei. Mi fermo in bagno, prima. Devo essere bella, deve vedere chi sono, io. Chi è, Stella. Accendo la luce. Mi ha sempre ingrassato questo specchio, che nervi. Sono bella lo stesso, mi ingrossa le labbra e le tette. Mi tocco il ventre, è piatto.
Mi sale un brivido, sotto e sopra l’addome. Mi scuote un po’, mi viene da toccarmi ma esco.
La porta di camera è socchiusa. La apro, lentamente. Qualcosa si muove tra le lenzuola. Lui apre gli occhi, forse mi vede. Lei è lì, vicino, dorme di lato.
Ha belle gambe.
Lui si leva sul letto, luce dal corridoio sui di lui. È pallido in viso.
– Stella…
Ecco lei, quella del tacco. Si solleva su un braccio, le lenzuola le scivolano addosso.
È nuda.
È bella, questa puttana è bella. Dormiva, tiene gli occhi assotigliati. Mi avvicino, si copre il seno, non serve a nulla, penso. Sono io, qui, Stella.
Fulmini e saette, così dice la canzone. La luce riflessa della lama le illumina il viso.
Alzo il coltello in alto e lo faccio scendere. Con tutto il peso, su di lei. Il coltello nel petto fa un rumore secco.
Le accarezzo i fianchi, sotto le lenzuola, le passo le dita su, il suo seno. Indurito. Tondo, piccolo. E poi su, le spalle, il collo sottile e giù, l’addome, i suoi segreti, il suo calore.
È bella, lei è bella. Mi eccita da morire. Con forza, ora, veloce. Ancora una volta, il braccio su. Giù.
Ancora.
Ancora.
La macchia sulle lenzuola si allarga calda, sul corpo di lei. Mi guarda, ha gli occhi sgranati, la bocca aperta, senza voce. Quelle labbra. Mi viene da baciarla.
Mi alzo, lentamente, lascio cadere il coltello a terra.
Esco dalla stanza, sfilo i tacchi. Prima uno, poi un passo, poi l’altro. Li lascio a terra.
Quella canzone.
Esco in terrazzo, canticchio, qualcuno potrebbe svegliarsi. Inizio ad arricciarmi i capelli, sono morbidi. Ricci. Li tiro un po’, ma non troppo.
Prendo il pacchetto di sigarette, dal tavolino. Ci guardo dentro – due sigarette, un accendino. Sfilo una, me l’accendo.
Sottovoce, lo faccio sottovoce.
Mi eccita, la canzone. Mi stringo tra le spalle, sorrido. Non mi curo delle mani, le dita, questo sporco. Ha odore di lei.
Stella, dice il mio nome. Stella, e mi piace.