– Aspetta! – urlò il Guercio afferrando la porta dell’ascensore.
Riuscì a infilarsi dentro.
C’era una ragazza. L’ascensore cominciò a salire.
– Scusa – borbottò lui ansimando.
Lasciò cadere la valigetta, si asciugò il sudore dalla fronte e la guardò meglio. Era la pupa del nono piano, venticinque anni di bruna bontà. Lo fissava preoccupata.
– Perdi sangue – gli fece lei indicando la sua gamba.
Un proiettile lo aveva ferito di striscio al polpaccio. – Ho avuto un incidente.
Appena passato l’ottavo l’ascensore si arrestò. Le luci si spensero.
– No, no, no – mormorò lei.
– Porca puttana l’hanno bloccato! – sbottò il Guercio.
– Che? Chi? Chi è che l’ha bloccato?
Il Guercio sapeva di avere pochissimo tempo. – Ascolta...
– Ma si può sapere che succede?
– Stammi a sentire!
La ragazza si zittì.
– Ascoltami senza interrompere. Ci sono degli uomini che vogliono ammazzarmi, sono stati loro a bloccare l’ascensore, tra poco saranno qui e non gliene fregherà un cazzo che ci sei pure tu, spareranno lo stesso.
– Ma...
– L’unico modo che hai per salvarti è raggiungere il tuo piano, così ti chiudi in casa.
Il Guercio cercò la botola di soccorso posizionata sul soffitto; era pratico perché l’aveva già usata per nascondere le armi, in passato. Riuscì ad aprirla, calò la scala pieghevole dal tetto della cabina e salì in perlustrazione. Il piano era facile da raggiungere.
– Dai – le intimò il Guercio. – Passami la valigetta.
– Che c’è dentro?
– Trecentomila euro.
– Quanto? Questa cosa è assurda. Io non mi muovo.
Tra le rampe proveniva un trambusto di passi e uomini che urlavano.
– Sono loro! – insistette il Guercio. – Vuoi uscire o no?
Lei afferrò la valigetta e gliela passò. La aiutò a salire, poi la fece aggrappare al bordo e la spinse per le gambe su al piano. Prese la valigetta e la lanciò, ma urtò contro una fune d’acciaio invisibile nella penombra, rimbalzò e cascò nel vuoto.
– Cazzo no! – imprecò a denti stretti. – Maledizione!
Si aggrappò e si tirò su anche lui. I passi erano sempre più vicini e le voci sempre più minacciose.
La ragazza aveva aperto il suo appartamento. Il Guercio le precipitò addosso, la spinse dentro e chiuse la porta.
Le fece segno di stare in silenzio e ascoltò le voci che giungevano dal corridoio:
– Ma dov’è finito?
– Siete sicuri di averlo visto entrare nell’ascensore?
– Assicuratevi che agli ingressi non l’hanno visto!
– Idioti, ve lo siete lasciato scappare!
Da quel giorno il Guercio scomparve dalla circolazione, così come la ragazza. Svanirono nel nulla. Le ipotesi ritenute più attendibili furono tre: erano scappati insieme; li avevano stanati, ammazzati e fatti sparire; lui aveva fatto fuori lei per non lasciare testimoni e si era dato alla clandestinità.
A un certo punto cominciò a circolare la voce che nel vano ascensore ci fossero nascosti i trecentomila euro che il Guercio aveva fregato a quegli uomini. Ci fu addirittura un periodo in cui fu necessario un picchetto fisso dei vigili per evitare l’ossessione collettiva generata dalla notizia. Poi diventò una sorta di pellegrinaggio pacifico, mosso più dal mito intorno alla faccenda che dalla bramosia.
Una storia che col tempo sarebbe sbiadita, se non fosse per il fatto che ancora oggi c’è gente che viene a chiedere a me, che sono il portiere dello stabile da trent’anni, informazioni e curiosità sulla leggenda dei trecentomila euro spariti in questo palazzo e mai ritrovati.
E allora gli racconto la mia versione. A volte la faccio più lunga, altre più corta, o cambio qualche particolare.
Dipende da come mi sento.