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Narrativa

Di queste e altre visioni

Pubblicato il 16/09/2022

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16 Voti

Pensare che il tempo che ti è stato concesso sia stato tutto sommato abbastanza e che, comunque, hai visto cose e vissuto... e poi, invece, ritrovarsi a pensare che il tempo che ti viene concesso non è mai abbastanza e che vorresti vedere altre cose e vivere altre vite, oppure, rimanere incollato per sempre, senza respiro, alla luce di settembre. Se un giorno sarò vecchio e grigio e pieno di sonno, penserò a te mentre annuirò davanti al fuoco; tu, allora, prenderai queste parole, e lentamente le leggerai, e sognerai lo sguardo dolce che i tuoi occhi una volta mi hanno dato, e i ricordi, io ancora tengo le loro ombre profonde; mi chiederò quanti hanno amato i tuoi momenti di felice abbraccio alla luce del mattino fissando lo specchio del bagno, la tua bellezza con trasporto falso o vero, ma io davvero ho amato l'anima pellegrina in te, davvero ho amato la grazia del tuo viso che cambia. Quando finisce l’estate e le foglie si disperdono e il vento si fa più freddo e la terra si copre di brina noi siamo ancora qui a cercare una via d’uscita, a scovare un po’ di calore, a scavare un brandello di pace. Quando muore l’estate si spalanca un varco tra le tenebre e la luce, tutto diventa possibile anche l’iridescenza. Noi che abbiamo scavallato le stagioni sappiamo che la vita è un dono e dobbiamo vivere perché non si muore soltanto una volta, ma si muore un pezzo alla volta, un pezzo alla volta, si perdono le cellule di ciò che eravamo, persino la parte di ciò che si riforma e ritorna. La luce è debole, offuscata tra i rami aggrovigliati della polvere e ragni e altre cose simili fluttuano nell'aria e suggeriscono le linee dei campi e l'immanenza della terra, poi una piccola, flebile lucilia si accende sul petto nella densa, stretta contrazione della volta arcuata e ricrea lo spirito dell’attesa come una nuova, incantata canzone che parla di petali profumati, di fiori tra le dita, dell’oscurarsi e amarognolarsi di nuvole soffuse che si raccolgono sul soffitto e, aprendosi, scoperchiano gli arabeschi della memoria… senti, si sente... è l’ansimare del mare che fugge dagli alberi di cenere, dai loro rami, dalle ombre, dalle blasfemie... amore, amore, quante volte amore, tu mi ritrovi, prigione che mi attanagli, libertà che mi risvegli, grumo d’amante, liquore di sesso che cola mentre calano chiarori d’acqua limpida tra noccioli di roccia, tra scogli sinuosi e algosi, e mi sfiori, mi trascini negli occhi, schiuma di fiume che mi acceca, corposa e scarna, soffiata dal vento e si spegne al fuoco di tutte le fiamme e piano piano il cuore se ne muore. La sun è una signora crudele, cupoverde, nascosta nell'attico di un prato. Lei è una dea senza movimento e senza heart. Abisso negli abissi speculativi è la sua immagine trafitta da reveries. Nella lacrima strappata dalla freccia, è una fragile bellezza bestiale. Bellezza con riflessi di vetro, è nuda, persa nella prospettiva. Dissanguato con seme di sangue, fino a che non rimani così ancient, lei ancora shines. Fino a quando rimarrai così antico dovrai sopportare la solitudine e la tristezza dei campi inariditi ma un giorno verrai liberato e potrai finalmente correre sopra le righe, nell’erba alta, tra le spighe. La vita brulica luminosa nelle arnie ronzanti, la notte si chiude sui rigagnoli di fiori calpestati, sparsi di profumi e unguenti, taglia l'aria. Gli outlines vicini delle colline e, oltre di esse, il mare. Poi la coltre malata del sonno che abbandona i muscoli alla tesa fatica della giornata. Le mani impastate e asciutte di olio d'oliva scivolano e scompaiono nella spuma, l'onda perduta dissolve la loro memoria, il vento le consuma. Quali gocce, quali pupille lacrimose germinano sul volto dei ragazzi, la semente di una terra di cani, di mani strappate e, stasera, tremante, consumato dalla febbre nel mistero di epifanie bruciate, il profumo e il fumo, è la morte che fugge dai boschi, oltre la pianura, le querce, le acque muschiose, tu mio rifugio, mio pensiero oscuro nell'imbrunire del giorno, tu che ti prepari per un altro risveglio, un altro respiro, un'altra vita, un altro amore. Riflessi pallidi in vetro e gesso, festa dei crisantemi inzuppata nella fanghiglia, né orrore né ansia, oggi al di là dei cambiamenti o delle azioni silenziose, le dita saranno intarsi su lapidi bianche tra lanterne votive e lucciole e la nausea dell'odore di cera che si scioglie, ombre dannate dimenticate, abbandonate in questo mucchio di ossa, di metatarsi, di ulne e teschi, l'inguine si spezzerà con capelli e erba e radici intrecciate sotto croci di legno e ferro, croci rapprese di poltiglia sui marciapiedi, prove carnali di liquido sparpagliato finché la vita non afferra spasmi di steli e ricami di fumo e pezzi d’azzurro tra le traiettorie delle rondini che sfrecciano sui campanili di settembre. Il giorno e la notte non hanno più significato per te, le stelle hanno già perso la loro luce, non senti il sapore del pane, la brace del fuoco, quasi non ti appartiene il suolo che cammini. È come una bestia che si ciba di te, una feccia che ti cattura nel suo nido, una bava che ti fa scorrere il sudore, una salamandra che morde la carne e i denti e le gengive e ti consuma. Sei uno scheletro che, nella distesa del deserto, tiene le braccia aperte, una spugna che si gonfia d'acqua, un vetro smerigliato che si assottiglia nel fuoco, una foglia che si sgretola all’arsura del vento. E la febbre è una lenza che tira, una corda che stringe la gola, una fune che ti lega alla barca, una rete che ti intrappola nell'acqua, uno specchio che ti imprigiona. Perché questa malattia rumina, perché morde la carne e i denti e le gengive? Ho camminato in un mondo che non è mio, non riconosco più nulla del passato, rimane solo il sentore di qualcosa che non è più. Vedo l’inizio tornare, la terra pulsare ancora e non capisco cosa diventeremo, forse nuova polvere cosmica, forse stringhe di vita, chiarore che accende un altro principio. Oggi è piovuto ancora, una pioggia inattesa che nessuno voleva, una pioggia arida d’acqua, sterile eppure sapiente, ci siamo bagnati fino alle ossa per sentirci ancora pregni, abbiamo capito che niente ritorna uguale a se stesso e che proprio questo mutamento, l’ignoto, è l’unica possibilità che ci fa ancora respirare. Senti questo sapore di origano, di foglie andate, di terra umida, di vigneti, di mura intrise, di vita passata ad asciugare la pelle, di mani che muovono i tasti, questo sapore di onde, la musica, i balconi, le fioriere, le lenzuola, i panni sporcati, nugoli di insetti che sciamano sulle pietre bianche e diventano macule e sentieri pieni di rovi, effluvi di incenso e resina, baci d’innamorati, sfarinare di uomini arresi al passaggio. Non chiedermi la misura di dove sto andando, perché non so dove starò, so che sto andando in un luogo dove il mare incontra il vento, dove il sole abbraccia la terra che gira, dove le montagne raggiungono il cielo e i boschi pullulano, dove i fiumi scorrono e le pietre galleggiano, dove la luce viene plasmata e rinasce in oscurità, dove arriva la pioggia e l’acqua brucia il fuoco, dove l'aria è sempre pulita e il vento è sempre forte, dove l’astro splende e la luna è scura, dove le galassie sono luminose e la notte è lunga come l’aurora. Sto andando in un luogo dove non c'è più dolore, paura, sofferenza, dove non c'è più odio, dove non c'è più rabbia, dove non c'è più morte, tenebra, dove non c'è più freddo, dove non c'è più fame, dove non c'è più sete, dove non c'è più guerra. Non potrei mai dimenticare il profumo dei fichi, il colore del latte, l'odore del mirto, la fierezza dei giunchi, l'amarezza dell'acacia, l'acidità del melo cotogno, le fitte dei cardi, le bolle delle ortiche, il rossore delle spine, l'infiammarsi delle rose, il nerume della terra, l'orrido del cielo, il cupo della notte, l'ombra del giorno, l'attenuarsi del sole, il grigiore della luna, l'appannarsi delle stelle, l’indeterminazione del sentire. Non potrei mai. Ma a chi importa il propagarsi di queste e altre visioni? Ora, ti prego, lasciami andare, lasciami dormire.

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Sofia Nebez ha votato il racconto

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Jordan ha votato il racconto

Esordiente

Attendevo le osservazioni del Fabiani..... stesse bacchettate al mio modo di scrivere, a volte irriverente, ma apprezzo la scrittura di getto.Indipendentemente da tutto ciò, piaciuto tantissimo.Segnala il commento

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Roberta ha votato il racconto

Scrittore

sempre speciale la tua scrittura - la passione, invenzione, i forestierismi così ben amalgamati - è un impasto di parole e sensi e immagini, o visioni come le hai chiamate tu. evidentemente non è la narrativa che la maggior parte dei lettori si aspetta di leggere, ma è solo un altro tipo di narrativa, che si può fare, si può fare.Segnala il commento

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Enrico R. ha votato il racconto

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Cinzia m. ha votato il racconto

Esordiente

Per me, a me dice tanto e mi piace in tutti i sensi. Segnala il commento

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Anonimo ha votato il racconto

Esordiente
Editor

Oltre alla giusta osservazione tecnica di Clarissa - questa non è narrativa, è solo un monologo - c'è pure un'osservazione di merito. "Sto andando in un luogo dove non c'è più dolore, paura, sofferenza, dove non c'è più odio, dove non c'è più rabbia, dove non c'è più morte, tenebra, dove non c'è più freddo, dove non c'è più fame, dove non c'è più sete, dove non c'è più guerra". Sì, ti piacerebbe, ve'? Signori, è un rispetto minimale verso il lettore il documentarsi prima di scrivere. "È del tutto falsa la credenza che basti attendere la morte per ricevere tutto quanto può dare il mondo soprasensibile, anche se qui si è trascurato di prepararsi ad esso" (Rudolf Steiner). Ti richiamo, poi, sul piano stilistico, il puto 6 del Decalogo di Typee: "l'a capo è uno strumento potente che va usato per isolare gli eventi e dare ritmo". I cosiddetti "wall of text", i muri di testo dove non si va mai a capo, sono assolutamente da evitare, perché predispongono malissimo qualunque lettore (anche quelli che ti hanno fatto i complimenti, pensa un po'...). Prego, non c'è di che.Segnala il commento

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Clarissa Kirk ha votato il racconto

Esordiente

Bello ma non è narrativa. Dov’è il personaggio dov’è la trama dov’è la storia ? Segnala il commento

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Urbano Briganti ha votato il racconto

Esordiente

Qui nessuno arriva a questi livelli stilisticiSegnala il commento

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Emil Moltenis ha votato il racconto

Esordiente
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Biodegradavide ha votato il racconto

Esordiente

Molte immagini interessanti, ma soprattutto emozionantiSegnala il commento

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Coscienza fantasma ha votato il racconto

Esordiente
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Imago ha votato il racconto

Esordiente

Molto bello complimenti Segnala il commento

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Violeta ha votato il racconto

Esordiente

Tanto tanto e ancora :))Segnala il commento

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Tella ha votato il racconto

Scrittore

Potente Segnala il commento

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Adriana Giotti ha votato il racconto

Scrittore

Quando leggo un brano che sacralizza le parole, e le conduce in quel tempio che è la letteratura, mi viene in mente una citazione tratta da Storia di una ladra di libri, di Zusak: "Una persona vale quanto la sua parola". Segnala il commento

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Isabella Ross ha votato il racconto

Esordiente

Bellissimo Segnala il commento

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di Antonio Tammaro

Scrittore
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