Lei è lì, uno scricciolo di un metro, persa in un grembiule blu di una taglia più grande, e un fiocco bianco che le pizzica il mento. Suo padre l’aiuta a prendere posto sul sedile anteriore, controlla che la cintura non stringa troppo, e si mette alla guida. Le casse dello stereo spandono la voce nera di Muddy Waters e le note di “Hoochie coochie man”, invadono l’abitacolo, e suggellano un patto firmato in segreto da padre e figlia. È il loro segreto, un messaggio in codice. Quando la voce carnosa di Muddy tuona “man”, quella di suo padre si alza di due toni e anche lei urla “girl”. Ridono e aspettano insieme che la voce animata di Muddy renda merito al miracolo della vita: "He was born for good luck" diventa “She was born for good luck”.
Sono giorni che si sente ripetere che la scuola è un bel posto, dove s’imparano tante cose importanti e si conoscono persone interessanti. E lei è lì, in attesa di scoprire se tutte quelle cose renderanno più importanti e interessanti le sue giornate.
È l’ultima nata, e suo padre talvolta la chiama Dike e le dice che l’ordine d’arrivo nel mondo non è casuale. È lei che mantiene l’equilibrio tra cinque uomini in competizione per ristabilire ruoli e priorità. I suoi fratelli, invece la chiamano spesso “Spring nowgirl”, perché è saltata fuori dalla scatola del nulla in primavera. E si divertono a ripeterle che in famiglia nessuno si aspettava il suo arrivo.
Suo padre aveva cinquant’anni e la madre due di meno, quando il caso aveva deciso la sua nascita. Per questo non si erano preoccupati dell’interruzione del ciclo mestruale della donna. Tuttavia, per sedare ogni dubbio, la madre si era recata dal medico di famiglia. Aveva trovato un sostituto fresco di laurea che, in attesa del ritorno del titolare dello studio, sfoltiva il lavoro con prescrizioni di integratori e diete leggere. La diagnosi era stata “Probabile menopausa”, che a tutti in casa era apparsa come la lieta novella: le cicogne avevano deciso di fare altrove le loro consegne. Occorreva pazientare qualche giorno, e con il rientro dell’anziano medico, anche il malessere della madre sarebbe scomparso. Ma la pancia aveva continuato a gonfiarsi, nonostante la donna vomitasse spesso. Era stato il padre a insistere per interpellare un gastroenterologo. Marito e moglie erano usciti di casa nel primo pomeriggio e avevano fatto ritorno ad ora di cena. Quando avevano aperto la porta di casa, si erano guardati come se temessero di aver sbagliato appartamento. L’ingresso era in ordine. Dalla panca era scomparsa la catasta di borsoni, zaini, caschi e scaldacollo. Libero di esibire una bellezza quasi dimenticata, lo schienale della panca sfoggiava i due cuscini di seta, con ricami di rami e fiori di ciliegio, acquistati durante il viaggio di nozze a Firenze. Anche dei giubbotti, dei cappotti, delle sciarpe e dei cappelli, che di solito mettevano a dura prova la resistenza dell’appendiabiti, non c’era traccia. Tuttavia, le luci di casa erano accese e si sentivano le voci dei ragazzi. Antonio, il maggiore dei figli, era intento a saltare nel wok gli spaghetti alla thailandese: il piatto che accordava i gusti di tutti i membri della famiglia. Nel lavello non c’era traccia di piatti sporchi. La tavola era ben apparecchiata, e al centro c’era l’insalatiera colma di verdure di stagione. Andrea era sbucato dalla veranda con una pila di panni tra le braccia, ripiegati e pronti per essere riposti negli armadi. Eugenio, era piegato davanti al cestello della lavatrice e lo rinsaccava di biancheria sporca. Dal bagno era giunta la voce di Sergio: “Qualcuno può spiegarmi come accidenti si strizza questo coso? Il pavimento è un lago e rischio di annegare.”
Marito e moglie faticavano a trattenere una risata, ma per nulla al mondo avrebbero ceduto in anticipo il loro segreto. La madre si era seduta al solito posto. Era pallida e stanca. I figli avevano accerchiato il padre e lo avevano tempestato di domande: “Che ha detto il medico?”; “Siete stati in ospedale?”; “Hanno fatto gli esami clinici?”; “Vi hanno dato una diagnosi?”
Il padre aveva girato lo sguardo dall’uno all’altro.
“Ragazzi sedetevi. Dobbiamo prendere una decisione importante.”
Il silenzio della madre aveva spento le voci. Il suono sincrono di cinque sedie trascinate sul pavimento, aveva riempito la stanza, con buona pace per l’inquilino del piano di sotto, che spesso si lamentava dei rumori che provenivano dal loro appartamento.
“Papà, quale decisione?”
Non capitava spesso che i ragazzi si sintonizzassero sulla stessa frequenza d’onda, tuttavia solo una voce era giunta alle orecchie dei genitori.
“Dobbiamo scegliere quale nome dare alla menopausa di mamma.” Sulla parola “menopausa” il padre aveva ammiccato, come a stabilire una complicità con i figli. L’occhio destro si era aperto e chiuso un paio di volte, mentre il sorriso gli spianava le labbra.
Quattro sguardi si erano incrociati. Quattro mani si erano raccolte a cuppidieddo, e ondeggiavano avanti e indietro nel gesto che traduce la domanda: “Ma che vuol dire?”
La madre era scoppiata in una risata liberatoria. Anche il padre rideva, come se avesse fatto una battuta di spirito. Ridevano pure i figli, senza capirne la ragione, ma per il sollievo di vedere i genitori tanto allegri.
“C’è una sorella in arrivo.”
Questo è ciò che le ripetono ogni volta che piange o è triste perché costretta, suo malgrado, ad andare in visita dai nonni materni.
Ama il nonno ma, dall’ultima visita fatta dalla nonna, la teme a tal punto che non riesce ad aprire bocca in sua presenza. Sono trascorsi sei mesi da quel giorno, eppure non riesce a dimenticare.
Suo padre e la nonna si erano chiusi nel salone, li sentiva bisbigliare ma non capiva le parole. Poi i toni si erano alzati. La voce roca del padre si sovrapponeva a quella stridula della nonna, e solo poche parole comprensibili le arrivavano. Non c’era gioia in quei suoni, non era come quando i suoi fratelli giocavano alla lotta per dimostrare chi era il più forte.
Lei era lì, dietro la porta chiusa. E non avrebbe mai dimenticato le prime parole che le erano giunte chiare.
“Non osare. Non te lo permetto.”
“Tu parli di osare? Tu che hai scelto tua figlia e sacrificato la mia?”
“Santo cielo, ma come puoi pensarlo? Se avessi potuto scegliere non avrei reso orfani i miei figli”.
“Se tu avessi fatto la scelta giusta, non avresti reso orfani i tuoi figli.”.
“Fuori di qui. E non farti rivedere”.
Lei era lì, dietro la porta. La porta si era spalancata e sua nonna era uscita, senza degnarla di uno sguardo. Suo padre non si era accorto della sua presenza. Aveva imprecato e chiuso la porta a vetri con tale violenza da provocare una pioggia di schegge.
Ora è seduta vicino a suo padre.
“Che ne dici Dike, rimettiamo nonno Waters?”
Lei abbassa il viso, come a comprimere la gola e strizzare l’aria dentro le corde vocali, e risponde “Yeees”.
Il padre posteggia, scende dall’auto, le sgancia la cintura, e le fa l’occhiolino. Lei sorride e si avvia. Deve imparare tante cose e scoprire cosa c’è nell’altra metà del cielo.