Sonia non aveva mai amato, nessuno, nulla, neppure dormire, soprattutto durante il fine settimana.
Da quando aveva appeso le "passerelle" al chiodo si svegliava ancora prima, in compagnia delle tenere fusa del suo gattino nero, sistematicamente affamato già di buon ora.
Non aveva mai creduto nei fuochi tiepidi, ma il destino era stato inesorabile. Il suo percorso era stato costellato da stelle fiacche, quelle che non bruciano, che non generano, che non forgiano. Amanti, familiari, conoscenti, solo tiepidi e scialbi contorni cucinati per lei dal mediocre chef della vita.
Sonia soffriva per questa situazione ma, lungi da lei il darsi per vinta, aveva adottato le necessarie contromisure. Da intraprendente autodidatta quale era, aveva imparato ad alimentare il suo stesso fuoco, educandolo a cerchio, un cerchio di fuoco blu, che fungeva da riparo e protezione; insomma una sorta di fiammeggiante profilattico per tenere a bada il virus umano. Aveva trovato il suo coriandolo di spazio schermato, dove vivere in armonia, isolata da ogni genere di interferenza. Sole lei e Joyce, il suo gatto nero, di peluche. La sola presenza costante, che come una lancia aveva infilzato trasversalmente lo spazio e il tempo delle sue stagioni di bimba e di donna, tenendole unite in un unico astratto respiro. Joyce era il totem che la teneva nel reale, era il suo legame tra terra e cielo.
Sonia Beltrami, ovvero Miss Curvy, genovese di padre boliviano, 43 anni, Leone.
Aveva sfilato sino a tre anni prima, infiammando i sei continenti: i cinque terreni più il regno di Atlantide.
Non era bellissima, ma la sua naturalezza aveva fatto centro. Era diventata il simbolo della femminilità: semplice, autentica, nessuna ostentazione.
Quel sabato mattina si svegliò insieme a Milano, quella da bere, la stessa che tanto le aveva dato a livello professionale, lasciandole in cambio solo dosi massicce di Xanax, da assumere tre volte al giorno, dopo i pasti che saltava con scientifica regolarità.
In compenso la sua cantina era sempre ben fornita, la sua libreria in legno ancora di più.
Sabato, ore 6.13.
Caffè nero fumante, Sky TG 24 in sottofondo, forse solo un’arma per scalfire la sfera del silenzio. Sonia era tesa, la notte insonne si faceva sentire.
Si alzò dal divano, andò in bagno e si piazzò davanti allo specchio. La decisione era presa. Era tempo che all’idea facesse seguito l’azione.
Si fissò dritta negli occhi per qualche minuto e con dolcezza pronunciò quella frase che tanto aveva sognato: "Sei l'unica a meritarmi. Sonia, vuoi sposarmi?".
L'immagine riflessa nello specchio tentennò per alcuni interminabili istanti. L’atmosfera si fece pesante, densa, irritante come una nube tossica in procinto di esplodere in una pioggia acida.
“No, non desidero dividere la mia vita con te, perdonami se puoi”. Poi calò il sipario, e fu silenzio, di nuovo, lacerante.
Lacrime irrorarono entrambi i volti.
Sonia barcollò sino a che un moto di orgoglio la rianimò.
Indossò la sua inseparabile maglietta rosa e uscì di casa come una furia, ancora in lacrime, che nel frattempo si erano trasformate in rabbia.
Corse, a piedi, direzione Atelier Mori, in pieno centro di Milano.
Quella mattina aveva in programma di ritirare l’abito degli abiti. Lo aveva scelto color bianco perla, semplice come lei. Sarebbe stata una sposa magnifica, indimenticabile.
Nonostante fosse prima mattina l’atelier era già discretamente gremito da future suocere e future spose, per il momento ancora tutte sorridenti. Le commesse, già provate, si davano un gran da fare per assecondare le numerose richieste, molte delle quali chiaramente bizzarre.
“Li voglio tutti!” urlò Sonia appena dentro al negozio. “Sono tutti miei” proseguì mentre afferrò una decina di abiti in esposizione per poi abbracciarli con forza, come se volesse proteggerli dal resto del mondo.
“Se non posso avermi, non si avrà nessuno”.
L’istante rimase sospeso, a mezz’aria. Statue di sale si sostituirono agli astanti.
Sonia si guardò in torno, cercava disperatamente il suo Joyce ma trovò solo decine di labbra inarcate in risate ironiche, altre in sorrisi amari. Di Joyce nessuna traccia, non pervenuto.
Allora comprese. Aveva appena varcato il suo cerchio di fuoco blu. Sorrise, fuori e dentro.
Si voltò lentamente, con un gesto gentile socchiuse le labbra e soffiò delicatamente sulle fiamme blu, spegnendole per sempre.
Era libera.