«Gli rispose uno dalla folla: “Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti»
Vangelo secondo Marco, IX, 17-19
Manchester, agosto 1977
Manchester fa schifo anche d’estate. Al tramonto, il sole si schianta contro i condomini e tutto è avvolto da una patina marrone come una scatola di cartone bagnata. Un’altra giornata passata a inscatolare sardine in quel buco di merda, con quei cosi viscidi che mi guardano con i loro occhietti acquosi del cazzo e che mi ricordano quelli di mia madre quando mi urla “Che ho fatto di male per meritarmi una figlia alcolizzata!”. Meglio berci su. Prima o poi me ne andrò da questa merda.
Vado verso l’Electric Circus, il tizio che mi scopo dice che quelli che suonano stasera sono bravi, si chiamano Joy Division. Mi sono messa le calze nere strappate che lo arrapano un sacco. Andrà come al solito, a metà concerto mi porterà in bagno e mi aprirà come una di quelle scatolette di merda. Leccherà l’olio in mezzo alle mie gambe e io me ne starò lì, a fare finta di godere mentre me ne vado lontano dal water sporco e i pezzi di carta igienica per terra. Poi, in cambio, lui mi pagherà da bere. Funziona così tra noi.
L’Electric Circus è un seminterrato immerso nella penombra che puzza di sudore e Bourbon. Prendo un drink e mi piazzo davanti al palco. La batteria parte solitaria e tutto intorno si fa silenzio. Una figura nella penombra si accanisce contro i piatti e batte un ritmo che sembra un cuore agonizzante. La chitarra s’intromette con un riff furente che taglia le carni del suono e il basso, schizofrenico, si allontana e si ricongiunge a loro come se volesse e non volesse far parte di quella marcia funebre. E poi arriva lui.
Carica tutto il peso del corpo sull’asta del microfono, ci si aggrappa come se sotto al palco ci fosse un burrone. Ha i capelli appiccicati alla fronte, la sua faccia ha un pallore alieno e luminoso e i lineamenti gonfi. Quando spalanca gli occhi azzurri penso che, prima di lui, non ho mai visto nessuno rimanere così in bilico tra bruttezza e splendore. La sua voce roca è catrame che ci avvolge tutti.
I corpi intorno a me cominciano a oscillare e a contrarsi. Il tizio che mi scopo mi grida dal bar “Mary! Mary!”.
Sono ubriaca, non capisco un cazzo, mi aggrappo alla tizia accanto. Scuoto la testa e sorrido.
“Dice tutto la confusione nei suoi occhi/Ha perso il controllo/E si aggrappa al passante più vicino/Ha perso il controllo/E svelava i segreti del suo passato/E diceva: ho perso di nuovo il controllo”
Canta con gli occhi chiusi ma mi ha già squadrata. Sembra che stia parlando di me.
“E urlando e scalciando lei disse/ho perso di nuovo il controllo”
***
Eri venuta con tua madre al centro disabili dove lavoravo, ormai non riuscivi a fare nulla da sola. Te ne stavi seduta di fronte a me con gli occhi bassi, pallida, mentre tua madre mi porgeva il referto medico. «Il fenobarbital le provoca sonnolenza, ma riesce ancora a lavorare. La prego, trovi qualcosa a mia figlia»
«Farò del mio meglio» le dissi, guardandoti. Avevi addosso la bellezza di chi lotta contro il tempo. Qualche mese dopo chiamai a casa tua, ti avevo trovato un lavoro. «Corinne ha avuto un’altra crisi epilettica. È morta» disse tua madre.
Ho scritto questa canzone per te, Corinne, quando ancora non sapevo che avevamo in comune molto più dell’amore per il punk. Il fenobarbital mi fa sudare e spalancare gli occhi come un pazzo. Comincio a dimenare le braccia e i pugni e il pubblico si scatena. Loro pensano che sia tutta scena, che faccia parte dello spettacolo. Ho ancora il controllo, ma non so per quanto. Canto e urlo addosso alla gente la mia paura.
***
Sono nuda e coperta dalla gente intorno. La testa mi pulsa e la voce cupa di lui è un vaso di Pandora da cui esce tutta la merda che mi porto dentro. Lo fisso. I suoi occhi cascano all’indietro, la mascella si paralizza, le labbra diventano una smorfia. Rimango impietrita, mentre lo guardo a terra contorcersi.
“E camminò sull’orlo di un vicolo cieco/E ridendo disse: ho perso il controllo/ Ha perso di nuovo il controllo”