Ogni albero ha un nome. I nomi sono un artificio, mentono sempre su chi siamo, da dove veniamo e perché. Sono nata per morire ma non sono come voi. Io lo so, e non faccio niente per evitarlo. Gli alberi portano i nomi di uomini, donne e bambini: sono nomi propri che frusciano al vento. Prima del bosco qui c’era il mare, prima del mare la sabbia e prima ancora niente di niente. Il mio tempo su questa terra è mille volte il vostro, tutto il vostro tempo, ogni giorno delle vostre miserabili vite, sono una foglia che cade. Io perdo le foglie come voi perdete la vita. Io non sento niente. Non sento le loro voci nel vento, non sento la linfa ed il sangue. Le mie vene sono acqua sporca che scorre. Ma è la mano di uno di voi a tagliarmi il respiro. Mi avete chiamata Larix Decidua, vi è sempre piaciuto dare nomi, trovate confortante esercitare il potere mediante la legge del più forte, che nomina, giudica, decide, taglia. Decidua, che cade via, le mie foglie cadono al vento.
Ho lavato via la colpa e i loro nomi non li ho mai saputi.
Prima del bosco qui c’era il mare, prima del mare la sabbia e prima ancora niente di niente. Io, sono del bosco e oggi muoio.
Mi pagano, e tanto basta. La mia lama è affilata, ho tutto quello che serve. Prima del bosco qui c’era il mare, prima del mare la sabbia e prima ancora niente di niente. Vi siete convinti che la decisione spetti a voi: come e quando tagliarmi il tronco, spezzarmi la vita, e non vi siete mai accorti che sono nata per morire e quando arriva il giorno, io sono pronta. Se mi chiedono di sparare, io sparo. Se mi chiedono di fare il deserto, io faccio il deserto. Taglia, bastardo, ti stavo aspettando. Sei insignificante come gli altri e come gli altri esegui la tua danza macabra. Pianti i piedi alla base del mio tronco vivo, punti i tuoi occhi vuoti alla mia chioma viva e mi abbracci.
Mi pagano: i soldi lavano via la colpa di essere al mondo e di fare lo schifo. Sono senza macchia. La mia punizione se la porta via il vento.
Nelle tue braccia sento il sangue che ti scorre nelle vene. Quelle braccia di sangue e niente. Prima del bosco qui c’era il mare, prima del mare la sabbia e prima ancora niente di niente. Cerchi l’inclinazione giusta, per quello mi abbracci, bastardo.
Le mani si mettono così: la destra più vicina alla lama, la sinistra più in basso, i polpastrelli spingono sul legno, i bicipiti si tendono, il torso si ruota tutto. Trattengo il respiro e sferro il colpo mortale.
Il tuo collo attaccato al mio legno: la vena giugulare interna è un tronco venoso, sento il tuo cuore bastardo che mi batte addosso, la tua pelle si taglia con niente, io ho corteccia, rami e foglie che sono qui da mille anni. La morte per recisione della vena giugulare è di dodici secondi. Voi morite in dodici secondi. Il bastardo mette la destra più vicina alla lama, la sinistra più in basso, i polpastrelli spingono sul legno dell’accetta, i bicipiti gli si tendono, il torso si ruota tutto. Trattengo il respiro e sferra il colpo mortale.
Di ogni albero del bosco io punto alla giugulare. Un colpo secco, chirurgico, il resto è voluttà virile. Un suono secco, sono ancora viva. Accetto la lama che si infila nella corteccia, non mi muovo di un centimetro, penetra nell’alburno, trafigge il durame, squarta il midollo. Mi pagano e taglio, non conosco i nomi di nessuno, non sento niente.
Vi è sempre piaciuto dare nomi.
La colpa è la vostra, che vi piacciono le case con il parquet di mogano, che vi piacciono i mobili di design, che vi piace la Foppapedretti. Sono nata per morire e mentre lui sfila la lama pezzo per pezzo io resto radicata qui ancora un’ora. Mentre infuria la sua colpa bastarda gli sento il cuore che batte, suda, ruota il torso e sferra il colpo, una, due, tre volte, si asciuga gli occhi, mi guarda la chioma, si guarda i piedi, e colpisce. Ancora. La giugulare gli si gonfia ed io sono pronta a morire.
Se volete un colpevole, se state cercando un nome, cercatelo nel vento.
Si mischiano, nel vento, colpevole, le parole di alberi e uomini, mentre altri alberi e altri uomini spezzano vene e cuore e ne fanno poltiglia di nomi propri lasciati frusciare nello stesso colpevole vento. Ci sono nomi propri di cacciatori e bestie, nomi propri di chi ha occhi gialli e denti affilati e i nomi di bipedi implumi che non hanno ancora imparato a stare al mondo. Che tagliano e mordono e spaccano e fanno sgorgare il sangue dove c’era solo acqua, dove respirava forte il vento. I nomi propri che dicono che sono esistiti, oltre la polvere del tempo, che hanno lasciato marcire un’impronta, non troppo profonda, non molto fugace. Che sono stati, alberi e uomini, nomi propri persi nel vuoto.
E se volete un colpevole, se state cercando un nome, cercatelo nel vento.