«Non mi sento bene, I’m getting sick».
Tim, il Custode, espresse il proprio malessere mentre gettava una devota occhiata alla sculettante cameriera che, deposto sul tavolo il secondo giro di vodka al profumo di incenso e mirra, si allontanava aprendosi un varco nella calca della Fortezza Bastiani come Mosè fra le onde del Mar Rosso, per continuare a officiare le sue funzioni con il vassoio Kaleido a vetri colorati in mano – su cui un Elephant Corkscrew rubino (il cavatappi a forma di piccolo pachiderma immaginato da Kikkeland) elevava un potente barrito al cielo: vibrante protesta per il pezzo di sughero che era rimasto infilato su per la coda a riccio.
Il Maestro ne seguì lo sguardo. Gli occhietti infossati del Custode, spenta la scintilla della concupiscenza con l’eclissarsi definitivo dell’inserviente, trasmettevano lo smarrimento di due creature degli abissi trascinate alla superficie da una rete impenetrabile: quella delle rughe che dall’ampia fronte di Tim si gettava sulle guance, s’impigliava nel naso camuso e si distendeva lungo il collo rinsecchito. Ma la repulsione che l’uomo suscitava – nei bambini toccava vette di puro orrore – non scaturiva tanto dalla bruttezza in sé; piuttosto, da qualcosa d’inumano, se non addirittura anti-umano, radicato nelle profondità dell'essere. Nanny era marchiato dall’apparenza di vita in ciò che è già morto: quanto di più ripugnante ci sia in tutto quello che provoca ribrezzo, disgusto e nausea.
Fra i bambini dell’Asilo circolava una leggenda: Tim era il risultato di un esperimento d’ingegneria genetica. Si narrava che, nonostante fosse stato selezionato il DNA di membra proporzionate e belle, il risultato era stato orribile. La pelle, divenuta gialla, sottile e semi trasparente con l’avanzare dell’età, lasciava intravedere il movimento di muscoli e arterie; le pupille, più nere del carbon fossile, contrastavano sgradevolmente con la bianchezza dei lunghi ma radi capelli, che era solito raccogliere, unti, in una coda di cavallo, e dei denti, che le labbra sottili e bluastre lasciavano scoperti fino alle gengive. L’andatura incerta dovuta all’arto in titanio con cui il vecchio chirurgo della pineta gli aveva sostituito la porzione di carne, ossa e muscoli dal ginocchio al piede sinistro – andata in putrefazione, qualche settimana prima, insieme al braccio destro, anch’esso sostituito con un organo artificiale dotato di lacci neuronali in grado di tradurre in azione gli input ricevuti dal cervello – conferiva il tocco finale all’aspetto transumano di Tim. Con quelle giunture metalliche si aggirava per Ariminum con le movenze di un aracnide alieno sopravvissuto alla Guerra dei Mondi di Wells. I bambini ne avevano subito approfittato per affibbiargli un nomignolo aggiuntivo: Spiderman.
«Problemi con le nuove protesi?».
«No, no, l’è che…». Nanny, irrequieto, si agitò sulla sedia d'ebano Naomi, con le gambe appena arcuate e dalla schiena sinuosa, in cima alla quale gli occhi spalancati di due fori guardavano con ripugnanza gli alcolizzati che stipavano il locale.
«Calmati: che cosa provi, con esattezza?».
«Furtùr, perdita di appetito, alternata a loveria… cam dit voialter…».
«Fame vorace?».
«Eccola, sì, ma poi vien su il vomit, con la nausea e non respiro... In più rampazna, tosse, incisio tergi, disturbi nell’uregia e intlè l’oci, sembra che me li prendano a martellate, gli oci, e ancora arciglida…».
«Come?».
«Arciglida, magrezza… pallore, memory loss, arbuff, attacchi di rabbia, madness, cagarela, accessus febris e pensieri suicidi».
«Male, fratello. Cosa mi dici della presenza di sangue nelle urine, emicranie ricorrenti, disfunzioni della ghiandola pineale, blocco del quinto chakra al centro della gola, declino del potere intellettuale, mancanza di libido, epilessia, idiozia, paralisi, brufoli e attacchi di gotta?».
«Exactly, all these things, propria insè».
«Con la vista andiamo bene?».
«I’m becoming zigh. Sto diventando cieco. È grave, secondo te?».
L'interlocutore non rispose. Lo scrutò sostando in un silenzio inquietante, metafisico – mistico, quasi. Tanto che Tim ebbe una visione (non la prima della lunga serie di quella sera), simile alla teofania sperimentata da Zarathustra sulle rive del fiume limaccioso che attraversa l'impervia regione asiatica dell'Alto-Hoxus: il Maestro si trasfigurò nella versione britannica dell'Arcangelo Bahman (generato dalla Trinità del Var, al cui centro la divinità suprema, Ahura Mazda, "celebra liturgie in onore della Sovrana delle Sirene Alate, della Regina Tatuata, dello Spirito Femminile dei Cieli", secondo il più grande filosofo platonico di tutta la Persia, Sohravard).
Gli apparve tutto rivestito di luce, che scendeva dalla lampada Jeeves Innermost sospesa sulla testa del Maestro, disegnata da Jake Phipps a forma di bombetta, emblema del maggiordomo reso immortale non da Dio, ma da Wodehouse.
Che, rispetto al Collega, ha senza dubbio un migliore senso dell'umorismo.