Un ricciolo ambrato, trafitto da un raggio di sole, ondeggiava sul volto di Elena illuminato da due occhi verdi, liquidi come il mare.
«Signori!» la voce del secondo riscosse Alfredo Maria da quella visione interiore e lo riportò alla realtà. Il suo avversario gli stava di fronte, lo sguardo fiero e l’arma in pugno. Il giovane assunse inconsapevolmente la postura, un piede in avanti sulla linea di tiro e la spalla opposta arretrata.
Il busto eretto, il mento sollevato, Alfredo Maria appariva bellissimo quella mattina di primavera agli occhi di Elena, che dal bovindo della sua camera non poté fare a meno di provare un guizzo in fondo al cuore al pensiero che il giovane di cui era perdutamente innamorata stava per ingaggiare un duello in difesa del suo onore.
Nello stesso tempo, però, l’ansia le faceva sollevare ritmicamente il petto, per il timore che da quell’impresa lui potesse uscire ferito o, Dio non volesse, in condizioni anche peggiori.
Il conte Rimbaldi, l’avversario di Alfredo Maria, era un uomo di mezza età, piccolo, nervoso e dall’aria decisa. Avvezzo alle contese, era al suo quarto duello e ostentava una sicurezza e un’aria di superiorità che Alfredo Maria trovava irritanti.
Al contrario, lui non si era mai battuto prima di allora e, dal giorno in cui era stata decisa l’arma dei contendenti, aveva rispolverato la vecchia pistola ad avancarica appartenuta al padre, pulendola, oliandola e impugnandola decine di volte davanti allo specchio. Ma quella mattina non si sentiva più pronto di quanto lo fosse stato cinque giorni prima e constatare con quale sicurezza il suo avversario impugnava la sua Bergmann lucida e apparentemente leggera e maneggevole non lo tranquillizzava affatto.
Il secondo si avvicinò ai contendenti, chiedendo loro se fossero pronti; entrambi annuirono, ciascuno mantenendo lo sguardo fisso in quello dell’avversario. Il secondo alzò platealmente la mano da cui pendeva un fazzoletto di seta candida.
In quell’istante un bioccolo di nubi leggere passò davanti al sole, velandolo appena.
Una rondine garrì nell’azzurro.
Il fazzoletto si abbassò, disegnando un semicerchio nell’aria.
Uno sparo risuonò nitido, subito seguito da uno scomposto frullo d’ali fra le fronde.
Alfredo Maria abbassò il capo e ammirò stupito la splendida rosa rossa che stava sbocciando sul suo sparato. Poi alzò gli occhi e vide la canna fumante del conte, che ora aveva uno sguardo attonito, quasi accorato.
Dietro il vetro della finestra Elena si portò una mano alla bocca, soffocando un grido.
Alfredo Maria tornò ad ammirare la rosa rossa che allargava sempre di più i suoi petali sul candore della camicia. Poi il cielo scomparve ai suoi occhi e l’erba del prato gli venne incontro rapida.
Un inchiostro denso gli offuscò vista, i sensi gli vennero meno e l’ultimo pensiero che lo attraversò come un raggio di luna nella notte fu quello di un boccolo ambrato, dietro cui facevano capolino due rari occhi verdi. E, dentro quegli occhi, il mare.