Lezione di francese del venerdì.
La Beccari apre il registro e si aggiusta gli occhiali: “oggi sentiamo Flavio e Alessandra”.
E’ molto severa, puntigliosa, ma gli occhi sono buoni e comprensivi.
Flavio mi fa cenno con la mano di andare avanti, prima di lui, come dovessimo coprire chissà quale distanza.
Bastano tre passi e siamo lì, alla cattedra.
Flavio si gratta spesso la testa, ha i capelli sporchi, indossa di frequente una maglietta color nocciola, di una taglia enorme. Forse una XXL.
Ogni volta che mi parla cerca con la mano di staccarsela dal petto, come avesse caldo, invece lo fa per celare la pancia.
Parla pochissimo, almeno a scuola. Chissà cosa pensa.
Ha tre fratelli, tutti con la effe: Francesco, Fernando e Fabrizio.
Ma la cosa curiosa è che suo padre fa il fabbro. Un’altra effe. Ma credo di averla notata solo io questa cosa delle “effe”.
Quando l’ho detto alla Melissa e alla Barbara loro non hanno minimamente reagito, si sono limitate a dirmi “sì, va beh, ma cosa vuol dire?”.
Non è bravo a scuola.
Credo passi i pomeriggi nell’officina del padre perché le unghie sono nere come quando si sbucciano le caldarroste.
I miei compagni lo chiamano già “ripetente”, ma lui non reagisce. Risponde con un mezzo sorriso, con i suoi denti sporgenti e tutto finisce lì.
La Beccari gli mostra un foglio.
“Il a plu toute la nuit, traduci, Flavio”.
Si gratta la testa, prende fiato e scorre con l’indice parola per parola.
“Egli … ha … più … tutta la notte”
Ridono quasi tutti. Io cerco di contenermi, Però è forte, penso. Ma come gli è venuto in mente di tradurla così?
La Beccari lo guarda bonaria:
“ti metto 8, per l’originalità, e 4 a tutta la prima fila che ha riso”.
Non capisce il Flavio, ma va bene così.
“A’ ta place s'il te plait, nous avons fini”.