Il vecchio albero secolare sta morendo. I suoi liquidi non riescono ormai più a scorrere liberi verso l’alto. Non a sufficienza. I rami superiori si sono seccati, il fogliame è diventato più rado. E lui ha iniziato a rilasciare molti più frutti di quanto fisiologicamente avesse mai fatto, ulteriormente indebolendosi e accelerando così la sua fine in un ultimo, disperato tentativo di garantire a sé e alla foresta di cui è parte una discendenza forte e numerosa.
Il terreno erboso e molle accoglie le innumerevoli ghiande indifese. Pronte ad essere da nutrimento per gli animali del bosco, o per la terra stessa, dimenticate e soffocate nell’ombra dei rovi. O a durare il loro tempo, nel corso della lunga, feroce lotta per affondare radici e preparare lo slancio verso l’alto.
Il rumore dei colpi che lo spezzano alla base precede e accompagna quello dello schianto. La sua agonia non è passata inosservata ad occhi attenti e interessati. Prima che muoia occorre separare e preservare il suo legno per gli usi dell’uomo. La foresta si zittisce per alcuni istanti. Ascolta solamente, attenta. E respira a fondo. Nel sottosuolo, le radici dell’albero raccontavano già da tempo di quella sua debolezza, sempre più acuta. Ma qualcosa di anomalo, di possente e di tragico si è ora improvvisamente manifestato col suono.
La memoria dei suoi tanti anni si è accumulata ed iscritta nelle viscere del legno che gli dà forma, nelle corone del suo tronco. I traumi della crescita, le piaghe delle ferite. Si sono materializzate antiche storie di siccità e di gelo avvolgente, di vento rabbioso, di luce e di ombra. Di aggressioni, e poi di cacce; di cinghiali erranti e di voraci erbivori al pascolo nei suoi pressi, e le tante offese inferte alla dura e rugosa corteccia, ai rami. Escono immagini e racconti dal legno. Una lunga, laboriosa ed accurata registrazione che ha attraversato le epoche si libera dalla carne di quell’enorme corpo senza linfa, che viene ora brutalmente esposto al mondo.
Ed è memoria che non rilascia fragilità. Ciò che è stato non ha ceduto spazio a presagi e illusioni, non a riesami, ricostruzioni, ritocchi. Non ha evocato misteri, inganni, rimpianti, assenze e opportunità perdute. Questo enorme libro è documento inconfutabile per chi lo ha scritto, e guida. Mai ammansito da nebulose inquietudini e ripensamenti, non ha alterato il senso delle cose così come sono state. Vi si è adattato. Non gli è dato di essere composto per confondere e per poi frenare, o inibire.
Il turbamento della foresta piano piano si dissolve. Il legno morto, rimasto adagiato nel terreno, inizia subito a mutare e a riconsegnarsi alla vita: funghi, batteri, insetti lo ripopolano e già accomodano il nutrimento per gli uccelli che passano o che nidificano nei pressi. Il muschio e i licheni lo avvolgono come in un sudario. Piccole tane si acconciano nel suo perimetro.
La grande chioma è caduta, ed ha aperto un varco immenso. Ha liberato una grande luce lì in alto, per il cui tramite si insinuano fotoni che regalano energia, promesse, nuove opportunità. La terra si scalda, assiste paziente, ed ospita ora la frenetica corsa di giovani virgulti ad arrampicarsi incontro al cielo.