Mamma si stacca dal lavello, si stringe la vestaglia blu a fiori sul seno e mi fa cenno di seguirla. La nostra casa è un lungo corridoio buio. Una specie di tunnel collega la porta di ingresso alla cucina, ai lati si aprono il soggiorno, due stanze da letto ed una piccola sala biblioteca. E’ questa la stanza speciale della nostra casa, quella che la rende diversa da tutte, molte, altre. Ed è lì che entriamo. Le finestre qui non hanno scuri. Il sole è tenuto fuori da due pesanti tende di velluto bordeaux. Tutto qui dentro a dire il vero è in qualche modo bordeaux: le due poltrone Chesterfield, consunte, che si fronteggiano l’un l’altra, assolutamente inadatte alla TV che in questa sala non ha trovato mai asilo, ma perfette ad accogliere il corpo umano per una buona lettura o una lunga conversazione - da bambino riuscivo a raggomitolarmi al loro interno, le pareti rivestite di carta da parati in tessuto e il tappeto, entrambi coperti da intricate misteriose linee barocche. E i libri, in ogni dove, pile in terra, affastellati sugli scaffali, impilati accanto alle poltrone, sui due grandi tavoli accostati alle pareti, tavoli curvi sotto il peso di tutti quei volumi. Qui tutto è mio padre, il suo lavoro, la sua passione, la sua vita. Ognuno di quei libri è stato un viaggio, un’impresa. E dall’ultima papà non è più tornato. Succede quando sposi un uomo che ha un grande sogno. Disse qualcosa del genere la mamma sedendosi sul mio letto. Con un tono quasi di rimprovero che allora non capii anche perché non sapevo cosa fosse accaduto, avevo finito la terza media, era iniziata l’estate, mettevo in grandi scatoloni tutte le cose di quella mia vita che consideravo chiusa, completa, finita - ovviamente non pensavo esattamente in questi termini eroici al tempo, ero pronto a mostrare al mondo un nuovo Louis, con nuovi simboli da appendere nella mia stanza, pronto per nuovi amici nella nuova scuola. Ma prima, l’estate ed il suo tempo eterno, continuo, ininterrotto come il grattare ossessivo delle cicale che anestetizza qualunque pensiero che esista un domani e sospende la vita di tutti in un eterno presente. Il tempo ricomincia a scorrere solo quando loro, le cicale, una dopo l’altra smettono di frinire. Allora puoi vedere i volti delle persone ridestarsi, accorgersi l’uno dell’altro, nei loro occhi puoi vedere l’avvio di un qualche ingranaggio, li coglie un po’ di sgomento per essere stati gettati nuovamente nel fiume del tempo ed avere abbandonato l’estasi del luogo dove nulla accade. Così più o meno lo ricordo, quando mamma si sedette sul mio letto. Mi disse che papà non mandava lettere, lui ancora lo faceva, inviava lettere di carta e inchiostro dai suoi viaggi, che si portavano dietro l’odore della carta, dell’inchiostro, delle mani di mio padre, dei posti e del viaggio. Mi disse che papà non mandava lettere da due settimane e questo non era mai successo. Così aveva un brutto presentimento. Lo disse con una specie di rassegnazione, una consapevolezza che veniva da lontano, dalla prima volta in cui lo baciò, quando già sapeva in qualche misterioso modo che sarebbe andata a finire così, quando sperava però che non sarebbe mai accaduto, sperava sarebbe cambiato, e tuttavia non poteva più fare a meno di lui, dopo averlo incontrato, dopo quel bacio. Mio padre era così. E così era rimasto fedele a sé stesso, dividendo la sua, e la nostra vita a metà, esattamente. Metà con me e la mamma, felice, allegro, distratto. Metà con e per il suo sogno: i libri, antichi, dispersi, introvabili, quelli che raccontavano le “Storie degli Uomini” come le chiamava lui. Le storie in cui si riconosce la vita vera degli uomini. E’ il suo sogno, disse mamma tenendosi le mani l’una nell’altra e guardando la fila di platani fuori dalla finestra della mia stanza. E tu ce l’hai un grande sogno? Non mi guardò chiedendomelo. Era il momento del giorno in cui la luce cambia colore, diventa di terra ocra, si posa sui muri delle case. E’ in questo momento che a volte capita che le cicale smettano il loro incessante frinire. Consentano al tempo di scorrere per qualche istante, lasciando le persone alle loro vite, lasciando accadere ciò che deve accadere, prima di riprendere il loro lavoro. Con il frinire delle cicale si fermò tutto di nuovo. Mamma chiuse le palpebre in modo da non guardarmi quando ruotò la testa ed il corpo per uscire dalla mia stanza.


Narrativa
Il grande sogno
Pubblicato il 05/10/2019Un grande sogno può portare molto lontano. Anche i padri hanno grandi sogni.
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RoCarver ha votato il racconto
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Bella l'atmosfera e soprattutto il ruolo delle cicale. Toglierei la frase che inizia per "Allora puoi vedere i volti..." fino al punto.Segnala il commento
Verbal Kint ha votato il racconto
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La cosa che ho preferito è stata la resa dell’atmosfera, un piccolo quadro confortanteSegnala il commento
Franco 58 ha votato il racconto
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Bello, ma da rivedere, da aggiustare nel ritmo e nei tempi, perche potrebbe diventare molto Bello.Segnala il commento
Rosnikant ha votato il racconto
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È vero, le cicale hanno il potere di sospendere il moto del tempo. Complimenti! Segnala il commento
Jean per Jean ha votato il racconto
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gionadiporto ha votato il racconto
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Paolo Sbolgi ha votato il racconto
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Il racconto decolla molto bene, pieno di premesse. Bella l'ambientazione. La seconda parte mi sembra invece un po' lenta Segnala il commento