Mi calano in un buco, stretto angusto, mi dicono: adesso prega il tuo dio per farti uscire, e ridono.
Io non capisco perché lo fanno, sono una persona come tante, cerco nel mio piccolo di aiutare gli altri, di mietere un po' di creatività.
Loro dall'alto insistono, gridano: tu che dici di aver fede, che credi ai miracoli, esci fuori e compari tra di noi.
L'ultimo chiodo fu il più doloroso, il sangue schizzò sulla faccia del carnefice.
Quando la croce fu issata, un dolore atroce a tutte le ossa, e il centurione rideva e beveva la sua sbobba.
La cagnetta è stata abbandonata da una settimana. Ormai è pelle e ossa, trema affamata, muore d'inedia.
Il pelo ormai si è diradato fino a scomparire, è una piaga, un ascesso sul lungomare di Sorrento.
Una bambina la vede, s'impaurisce, non comprende ancora cos'è, si avvicina e piange per tanto dolore.
La portano in un centro, adesso corre nel giardino di Marisa, è felice nel suo pelo, rinato.
Poi la lancia nel costato, il dolore fu lancinante uscì sangue e acqua, il terzo giorno dicono rinsavì, perché il Divino può tutto.
Io sto ancora lì, a malapena respiro, due giorni senza bere né mangiare.
Nella disperazione mi ricordo quella volta, mi svegliai con la mia solita ansia, guardavo la televisione. Un attimo senza volerlo mi ritrovai nel programma televisivo, ricordo ancora il calore dello studio, l'odore della conduttrice.
Fu un'esperienza di teletrasporto, inconsapevole, qualcuno mi aveva trasportato in quel programma registrato chissà da quanto, otre il tempo, oltre lo spazio.
Quando lo videro di nuovo camminare con loro, i discepoli furono increduli, ma lui stava lì, parlava con loro, il Divino sa e può.
Può trasformare l'acqua in vino, a un brutto ridagli la bellezza dell'anima, può far risalire i salmoni e farli rinascere.
Può fare uscire la compassione da un cuore impietrito, dal dolore, dalla rabbia, può trasformare il vino in acqua, la polvere farla diventare essere umano.
L'orso era ingabbiato, povera bestia lo usavano per esperimenti medici.
Quando gli prelevavano il liquido dalla milza, lo legavano, urlava ruggiva un dolore atroce, e non poteva, non sapeva.
Una due tre volte, quando li vedeva tremava povero animale, una bestia chiamato uomo lo torturava, era molto ma molto più bestia di lui.
Il quarto giorno lo trovarono scannato sui ferri della gabbia, preferì il suicidio a tanta sofferenza.
Io nel frattempo sto ancora lì in quel buco puzzolente, sono tre giorni che non bevo che non mangio. Sento le loro voci ubriache che urlano: sei ancora vivo, quand'è che uscirai, quand'è che il tuo dio ti salverà.
In preda al dolore alla fame alla paura incomincio a pregare, implorare, ricordo l'esperienza del televisore, e spero.
Riesco a illuminare la smartwatch, sono le tre e tenta si attiva il mio corpo di coscienza.
Prima delle luci nella mente, poi una voce dolcissima: stai tranquillo siamo qui con te.
È un attimo mi ritrovo fuori dall'antro, sporco di sudore e fango, i carnefici inebetiti, ester e fatti. Fanno il segno della croce, qualcuno piange.
Quando tornò a Casa, l'uomo della croce spalancò le braccia, il suo corpo divenne luce. Con lui nel loro corpo astrale c'erano un orso grigio, un cane morto di vecchiaia, una donna che andava da anni in chiesa.
E sotto di lui lo segue, in una scia d'orata, Mario un ateo incallito, che un giorno per caso fu travolto da un auto. Un attimo e si ritrova in un altro corpo, il corpo di luce, il corpo di pace.