Era esattamente come doveva essere, come ci si aspettava che fosse. Dapprima un sentore leggero, quasi impercettibile, molecole che grazie a una legge chimica si aggregavano e in breve invadevano l'aria in un'esplosione che stuzzicava i recettori olfattivi e riempiva la gola, così inebriante da diventare quasi presenza.
Quel mattino d'aprile, è certo che nessuno si aspettasse di sentirlo di nuovo.
Il Profumo, caricatosi di tutta l'energia possibile, lasciò il luogo d'origine e uscendo dal finestrino aperto scese in strada. Dopo più di un anno di assenza sentiva forte l'urgenza di ritrovare il giusto percorso, per non rischiare di disperdersi prima di aver raggiunto tutte le sue destinazioni. Tenendosi ben stretta l'entità della sua portata, attraversò rapido il tratto disabitato che lo separava dal paese e infilò la via principale.
Il borgo era piccolo, una manciata di case e in fondo la chiesa, gli abitanti poco più di trecento anime di cui la maggior parte imparentate fra loro. Il Profumo, superato il primo istante di smarrimento, si diresse sicuro verso la fila di case. Le riconobbe una ad una, la prima era quella del fabbro e subito accanto quella del "bagatt", il rigattiere. Nella grande corte era accatastata una montagna di roba ma la guerra aveva congelato ogni cosa e il risveglio era stato lento, come quello delle marmotte appena uscite dal letargo. Il profumo pensò che era ora di rilasciare qualche traccia, qualche indizio che risvegliasse i sensi delle persone, afflitti da un tempo feroce che ancora mostrava i suoi effetti devastanti sugli animi e sulle cose. La prima ad avvertirlo fu la moglie del fabbro che, finestre spalancate, si dedicava alle grandi pulizie. Era la settimana di Pasqua e le donne usavano rinfrescare casa dopo che il fumo dei camini aveva depositato ovunque la sua patina di grigio. Il Profumo entrò senza indugi e le solleticò le narici ridestando un ricordo che stava accantonato da qualche parte, in attesa di un evento che rimettesse a posto le cose. Fu un attimo, appena il tempo di realizzare e di affacciarsi al balcone per scorgere Bettina, la dirimpettaia, pure lei a naso teso per catturare quel non so che nell'aria, con la stessa espressione di meraviglia stampata in faccia. Intanto il Profumo avanzava, insinuandosi nelle case e penetrando voluttuoso le narici che incontrava sul suo cammino, sempre più appagato nel vedere sguardi increduli e bocche spalancate per la sorpresa. Era tutto un intercalare di - Oooh!..- Non ci posso credere!...- Ma sarà vero?...Qualcuno lo ha visto?...-
Nessuno ci capiva niente, eppure quel profumo che tanto era mancato adesso era lì, tangibile e vero quant'era vero che la guerra era finita e che il Signore stava di nuovo per risorgere.
Nella piccola chiesa, il parroco era raccolto in preghiera davanti al crocefisso che nei giorni precedenti la Pasqua veniva deposto su un catafalco ricoperto da un drappo nero, affinché i fedeli potessero rendere omaggio al Cristo morto. Anche le campane venivano legate e non potevano suonare sino alla mattina della domenica di Pasqua.
Il Profumo entrò con discrezione, come si conviene in un luogo di culto, sfiorò i banchi deserti, accarezzò la statua di Maria e finalmente raggiunse le narici del parroco. La reazione era sempre la stessa, un misto di stupore, sollievo e curiosità e via via che il Profumo procedeva la gente usciva per strada e in poco tempo si generò una piccola folla vociante.
- Andùma vedd ... andùma vedd -
Non c'era altro da fare se non andare a vedere di persona e così la squadra partì, parroco compreso. Le donne si erano buttate addosso uno scialle in tutta fretta e con i bambini per mano erano uscite al seguito del corteo, scambiandosi dubbi e speranze su quell'eventualità che avevano creduto remota e che ora appariva più concreta che mai. Il Profumo poteva ritenersi soddisfatto, aveva svolto degnamente il suo compito e li stava conducendo proprio lì, com'era sempre stato nelle sue intenzioni.
Mano a mano che la processione si avvicinava l'intensità aumentava, di pari passo all'impazienza che tutti avevano di vedere, di capire...
Faticarono a riconoscere il Ginètu nel fantasma in canottiera che si parò loro davanti. I pantaloni troppo abbondanti per quel corpo che appariva così esile, il volto scavato e un sorriso triste, in cui mancava persino qualche dente. Tutti notarono le cicatrici che aveva sulle parti scoperte e forse qualcuno pensò che non erano peggio delle altre, quelle che stavano dentro e non si vedevano. Gli si strinsero attorno. Il Profumo, da ogni angolo della stanza, osservava la scena.
Un sottile velo bianco fluttuò nell'aria creando strisce di pulviscolo che parevano polvere magica nel sole che filtrava dalla finestra, poi si posò sugli abiti, sui capelli e sul viso di tutti quelli che il Ginètu adesso stava accarezzando, con le mani sporche di farina.
Una domanda premeva sulla bocca dei presenti ma nessuno ebbe il coraggio di farla e la risposta, a saperla vedere era tutta lì, nelle lacrime che scivolarono giù dai suoi occhi devastati.
Due ceste piene di pagnotte dalla crosta dorata erano posate a terra. Le altre, ancora nel forno, avevano già iniziato a spargere tutt'intorno nuovo profumo.