Il pomeriggio del 13 giugno 1989, Francesco von Bratàvitc, già professore di fisica all’università, festeggiava il suo settantesimo compleanno nel grande giardino della birreria Kartner, attiva da oltre un secolo. Per la circostanza, la moglie Carmen Citrani, 64enne primaria di anestesia, indossava un vestito di famiglia confezionato a Vienna 90 anni prima. Gli invitati erano sceltissimi. Il catering, così la direttrice della birreria aveva stranamente definito il buffèt, era più che adeguato, come i vini e i vari tipi di birra. Il sole tiepido sarebbe tramontato fra qualche ora. La musica spaziava dagli Strauss a Battisti. Insomma: si stava tenendo una splendida festa all’aperto per la migliore borghesia triestina.
Il professore e la dottoressa erano sorridenti e disponibili con gli ospiti, nonostante il loro matrimonio si fosse guastato anni prima.
Mazuki, si chiamava la causa del dissidio: una specializzanda giapponese, una giovane donna alta, con gli occhi che potevano essere feroci come quelli di un samurai nelle stampe classiche. S’era mangiata il cervello di von Bratàvitc: dominatrice capace di fargli sperimentare delizie sublimi, ma attraverso sofferenza fisica e umiliazioni, a cui lo costringeva usando legature rituali. Una mattina all’alba von Bratàvitc era stato ritrovato dalla moglie immobilizzato a una quercia con quelle corde di canapa intrecciata, vicino il capanno degli attrezzi, 70 metri da casa, nudo, i boxer calati alle ginocchia, semisvenuto e le braccia viola a causa della insufficiente circolazione sanguigna. Sulle gambe e tra i piedi dell’uomo c’erano rimasugli di sperma e forte puzza di orina. Dopo il PhD Mazuki se n’era andata in California, ma la dottoressa Carmen Citrani non aveva perdonato il marito: solo salvato la forma. Nessun divorzio, la casa e il giardino erano ampi a sufficienza. E per salvaguardare le carriere d’entrambi la vita sociale sarebbe rimasta immutata.
Luca, loro figlio, insegnava da tempo all’Orientale di Napoli, e della storia di Mazuki non aveva mai saputo nulla: però che suo padre avesse delle avventure con le allieve, non ne dubitava. Alla festa Luca arrivò con la moglie Mzia, originaria della Repubblica Socialista di Georgia, figlia di dissidenti espulsi dall’URSS, cresciuta a Cipro e in Libano all’inizio, poi a Napoli. Oggi Mzia dirigeva lì una scuola privata di musica, e aveva posticipato i saggi di fine anno per essere anche lei a Trieste, quel 13 giugno 1989. Tra un bicchiere di Tocai e uno di Ribòlla Gialla, tra una media scura e una piccola chiara arrivavano intanto le patate in tecia col prosciutto in crosta: tutti continuavano a bere e chiacchierare e ora ad avere magari un assaggio di quella specialità calda, dopo il liptauer col pane e cren.
Von Bratàvitc padre notò che la nuora era l’unica alla festa ad indossare delle calze: quelle gambe slanciate finivano sotto il leggero vestito verde mare velate di una tinta color melanzana. Von Bratàvitc padre era certo non fosse un collant, ma calze “vecchia scuola” che richiedevano un reggicalze: aveva visto infatti come, sotto la sottile stoffa verde, sulle cosce ci fosse il lieve rigonfiamento del gancio a slitta. C’era un buon rapporto, tra lui e la nuora, anche se non frequente e quasi solo telefonico: Mzia continuava a dargli del Lei e il professore del tu, e questo a Von Bratàvitc padre alla fin fine non dispiaceva.
Verso l’imbrunire Von Bratàvitc padre e figlio scesero insieme i pochi larghi scalini di pietra verso l’interno della birreria ed entrarono nella enorme sala invernale ora deserta. Le toilette erano sulla sinistra, con un paravento a protezione dell’ingresso comune per le signore e i signori, ingresso che poi si allargava su due porte ovviamente distinte. Da un’ora i due uomini avevano perso di vista le rispettive mogli, presi a chiacchierare con questo o con quella, ballando Venus o Donna Summer con la direttrice dell’azienda X o con la erede dell’impero degli spedizionieri T.
Von Bratàvitc figlio fu il primo a sbrigare le proprie necessità e a risalire in giardino. La madre era circondata da altre signore e da un paio di funzionari statali e si unì al gruppetto.
Von Bratàvitc padre si era attardato per raffrescarsi il viso con l’acqua di colonia che la birreria metteva a disposizione degli ospiti. Uscendo nello spazio davanti il paravento vide la porta delle signore aperta, e nella sala dei lavabi Mzia che si stava sistemando le calze: il vestito era alzato a sufficienza per capire non portasse le mutandine. Gli venne un’erezione immediata, come non gli capitava dai tempi di Mazuki.
La nuora lo guardò mentre tirava fuori il pene dai pantaloni iniziando a masturbarsi. Si sistemò con calma la gonna, andò incontro il professore, lo guardò negli occhi, si piegò quel tanto per sputargli sull’asta eretta, che le sembrò scura, uscendo poi senza una parola.
Von Bratàvitc padre non capì mai se quello della nuora fosse stato un gesto di schifo, o di incoraggiamento.