«Il Grande Roc, o Simurg (chiamato anche Mighty Eagle dagli ariminensi), è un uccello dal piumaggio bianco e dal viso rotondo, su cui cresce una rada barbetta che gli darebbe un aspetto alla Mickey Rourke in Nove settimane e mezzo, se non fosse per la calvizie, le orecchie a sventola e gli occhi sottili dal taglio orientale. È così grande e forte che può ghermire e divorare in un boccone anche gli elefanti, da cui è ossessionato: non fa che pensare a loro notte e giorno, per lui il mondo altro non è che un immenso elefante. Nel tentativo di sfuggirgli, alcuni pachidermi si mimetizzano assumendo la forma di altri grandi animali, in genere rinoceronti; e pare che talvolta siano andati a nascondersi nel fondo degli oceani, mascherandosi da balene bianche.
Saziata la fame atavica, il Simurg può adempiere alla sua funzione cosmica: garantire l’unione del Cielo con la Terra. Fa da messaggero fra le due Entità. È vecchissimo: ha visto la distruzione e la rinascita del mondo per quarantadue volte. Lui stesso può risorgere dalle proprie ceneri: alcuni lo confondono per questo con la Fenice – e anche perché, sebbene per denominarlo venga usato l’articolo maschile, è di sesso femminile. Deve però avere contratto un cancro, perché è calvo, come se si fosse sottoposto a una forte chemioterapia.
Si narra dunque che da molto tempo gli uccelli dell’isola natale erano in attesa che vi facesse ritorno. Nei loro cuori cresceva la paura per ciò che sarebbe accaduto. Quel sentimento viscido e strisciante giorno dopo giorno si rafforzava, fino a divenire il liquido amniotico in cui trascorrevano la vita: era una luce che si rifletteva nel bianco dei muri, dando alle case una parvenza da ospedale psichiatrico; che sbalzava sul rosso delle rocce, facendole sanguinare; che rendeva l’azzurro più cupo e malinconico; che era assorbita dal verde degli ulivi, facendoli ammalare; che si confondeva nell’aria, sempre più pestifera, soffocante.
In quella luce ingannevole, specie all’Aurora e al Tramonto, l’isola perdeva la solidità rocciosa: era un’apparizione fantasmatica, un’epifania dai contorni incerti, un miraggio marino, destinato a svanire al primo colpo di vento. Secondo la leggenda, prima di lasciarli il Grande Roc aveva predetto che le potenze dei cieli sarebbero state sconvolte: ma la sua presenza avrebbe arginato il Dies Irae. Il temuto Forty-third Impact, che avrebbe altrimenti spazzato via l’umanità una volta per tutte. Il termine indicato si stava approssimando. Il Sole si oscurava, la Luna perdeva splendore, il fragore del mare assordava, l’Armageddon era vicino e del Grande Roc non si avevano notizie. La speranza sembrava perduta» disse il JubJub.
«Questo cosa c’entra adesso?». Ancora una volta, l’Ombra interruppe lo Scrittore, facendogli perdere la concentrazione.
«Questo Episodio?». Lui smise di digitare sulla tastiera del Mac. Si stiracchiò e si accomodò nella poltrona Proust, creazione del genio di Alessandro Mendini. Lo Scrittore ne amava le forme sfacciatamente barocche, incrocio di stili ed epoche, arte e antiquariato, rivestite di un tessuto decorato con la tecnica del puntinismo che sconfinava anche sulle parti in legno. Un (riuscitissimo) tentativo di giocare con il Kitsch per evadere dal carcere della Banalità.
«La leggenda del Simurg, il Grande Roc, dico, che rapporto ha con il resto della storia?».
«Ombra, è un elemento strutturale dell’opera, rientra nel gioco dei raddoppiamenti, delle duplicazioni, delle contrapposizioni, dei rinvii fra elementi narrativi diversi».
«Tu ti starai divertendo a mettere insieme i pezzi che compongono Ariminum Circus; le citazioni e le riflessioni sono tante e, prese una per una, interessanti, persino ben scritte; ripeto, il tuo divertimento nel redigere queste pagine è palese: peccato che il lettore, al contrario, vi si perda fin dall’inizio».
«Sul lettore ideale del libro magari torniamo un’altra volta. Sto preparando un test di ammissione alla lettura del romanzo. Per ora, restiamo pure sulla questione che hai sollevato. Andiamo a un paio di casi significativi. Il Grande Bardo predilige i raddoppiamenti di parole, endiadi, che si rispecchiano l’una nell’altra. Una ricchissima serie di esempi la troviamo in Amleto: The flash and outbreak of a fiery mind, The slings and arrows of outrageus fortune, The whips and scorns of time...».
«Basta, ho capito!».
«In questi casi basterebbe una sola delle due parole per comunicare il significato della frase. Ma, attraverso la duplicazione, il verso di volta in volta si arricchisce di echi, di sottintesi, di rimandi ad altre parti dell’opera o a segreti doppi sensi. Non solo: il raddoppiamento influisce sulla struttura stessa dell’Amleto. Nella versione cinematografica di Kenneth Branagh, il salone principale di Elsinore è tappezzato di specchi, che si infrangono nella scena finale, a indicare proprio come tutta l’opera sia un gioco di riflessi su tantissimi piani».
«Parole, parole, parole…».
«No, fatti. Ci sono coppie di personaggi: Cornelio e Voltemando, due ambasciatori che pronunciano (insieme) non più di dieci parole o gli indistinguibili Rosencrantz e Guildenstern. Amleto junior dialoga con il fantasma di Amleto senior. Anche il ruolo del vendicatore è raddoppiato con Laerte e Fortebraccio. Il teatro nel teatro è un doppio dell’Amleto, e la pantomima lo è del teatro. Un accorgimento ripreso spesso dai romanzieri successivi: lo troviamo in Mansfield Park di Jane Austen, per dire. Sarà sfruttato anche in altri campi artistici: come nel celebre film di Lubitsch To be or not to be, ma si potrebbero pure citare i “quadri nei quadri” o le “scatole nelle scatole” della pittura metafisica.
Gli esempi insomma sono numerosi e agli esegeti di Carroll, amante di Shakespeare, evocano la coppia Tweedledum and Tweedledee o il Leone e l’Unicorno del Paese Al di là dello Specchio, oltre che i personaggi-portmanteau di Wonderland: come il Fish-Footman del Capitolo Sei o i fenicotteri-mazze e i ricci-palline della partita di croquet che si svolge nel Capitolo Otto – a cui si accompagnano, nel film Disney, inediti, per quanto di stretta osservanza carrolliana, animali-oggetti. I due libri di Alice rigurgitano di questi echi, duplicazioni e ribaltamenti, allusioni, ironie. Ma, nota Deleuze, il miglior esempio della passione per il raddoppiamento in Carroll è la Canzone di Chauncey il giardiniere contenuta in Silvie e Bruno. Ogni strofa che inizia con il verso “He looked again”, pone in gioco coppie di termini di genere diverso che si offrono a sguardi distinti. L’insieme delle strofe sviluppa così due serie eterogenee, l’una fatta di animali e oggetti di consumo, l’altra di oggetti o individui simbolici. Alla fine, capiamo che la canzone designa l’identità del giardiniere: complessa, frammentaria e mutante come quella di Alice».
«A quanto sembra il tuo database è aggiornato a due secoli fa…».
«Ah! Vogliamo parlare di Joshua Cohen, che nel 2019 ha pubblicato Il libro dei numeri (citazione del suo “doppio” biblico) e i cui due protagonisti, un magnate delle nuove tecnologie (la cui vita è un puzzle tratto dalle biografie di Steve Jobs, Sergey Brin, Larry Page, Mark Zuckerberg) e il suo ghostwriter, si chiamano entrambi Joshua Cohen? O del Gemini Man di Ang Lee?».
«Va bene, va bene, e quindi?».
«Quindi, lo stesso accade nel mio romanzo. La leggenda del grande Simurg rispecchia la vicenda del piccolo Roc, i cui incubi si riflettono nei sogni di Fellini; le lezioni impartite dal Maestro sono il contraltare degli Interludi in cui gli Artisti Dannati espongono le loro interpretazioni della realtà; a sua volta la ricchezza di visione del Maestro e degli Artisti Dannati, che si sviluppa nel corso del romanzo, ha il corrispondente nel progressivo svuotamento delle teorie espresse dal Capitano, il quale, dalla visuale del JubJub, è un Vuoto anche in senso letterale, oltre a rappresentare un’autorità destituita da ogni autorevolezza, ma soprattutto in quella entropica di Daisy ed Helen; il Pescivendolo, che, come Polonio, è un ruffiano, ovvero una persona che vende il vizio, trova il suo omologo nel Custode, che invece è un “consumatore” del vizio; la Fiamma si contrappone al Cristallo; i personaggi con nomi propri, Daisy, Jay, Helen ad esempio, contrastano con quelli designati da un ruolo sociale, come il Maestro, piuttosto che da una doppia nominazione significante, come nel caso di Earnest il Pescivendolo e Ava la Tabaccaia, o da epiteti mitologici: il Roc e il JubJub sono detti anche Muninn e Huginn, i corvi di Odino. L’estetica basata sull’esaltazione del Bianco e del Nero di Malevič si confronta con quella coloratissima dei futuristi; le critiche ottuse che il Capitano muove al JubJub si raddoppiano nelle obiezioni mosse allo Scrittore dalla sua Ombra…».
«Io dunque sarei l’ombra di un’Ombra?».
«Vedo che stai cominciando a capire».
Zittita l'Ombra, lo Scrittore tornò all'Episodio. Dunque, pensò, gli uccelli sono in crisi. Davanti agli sconvolgimenti cui stanno assistendo perdono la fiducia nelle grande narrazione fondativa della loro civiltà: il Ritorno del Simurg. Domande come: dove è finito il Grande Roc? Sarebbe tornato? E se anche fosse tornato, sarebbe stato in grado di opporsi all'Armageddon? E, addirittura: il Grande Roc esiste veramente? rimangono insolute e loro perdono la fede. Provano a raccontarsi altre storie che si sono affermate in altri tempi o in altri luoghi (il Mito della Balena Bianca, le Avventure di Baldanders, la Rivelazione dell'Elefante, l'Occhio del Catoblepa), ma nessuna sembra avere le risposte giuste per affrontare i nuovi problemi.
Giunto a questo punto, davanti allo Scrittore si aprivano diverse possibilità di sviluppo narrativo. Da un lato, la situazione avrebbe potuto favorire un happy end: i piccoli Roc diventano adulti nel momento in cui maturano la consapevolezza che la Verità non è unica, che la si può raggiungere solo attraverso un dibattito fra punti di vista differenti, come continuo avvicinamento a un’istanza che sarà sempre, al massimo, una “penultima” Verità. Capendo che il cambiamento non è un evento apocalittico, bensì un motore di crescita.
L’Episodio avrebbe quindi riverberato su tutte le vicende narrate in Ariminum Circus una visione positiva, tendente a tracciare un parallelo tra la situazione in cui si trovano gli animali del racconto e la condizione contemporanea, liquida, dell'umanità, scaturita dalla dissoluzione del paradigma moderno, in cui le storie degli individui e della collettività nel suo complesso erano concepite come unitarie, armoniche, stabili, definite una volta per tutte: questa totalità, impossibile da ottenere, si frantuma nelle diversità del postmoderno, che divengono il valore su cui edificare una nuova società.
D’altra parte, la crisi in cui erano incappati gli uccelli celava dei pericoli. Il rifiuto delle grandi narrazioni avrebbe potuto favorire una proliferazione di versioni soggettive del reale, essendo saltata la garanzia dell’interpretazione consensuale della storia (la fede nel Grande Roc). Il risultato sarebbe stata l’incapacità degli uccelli di fare fronte comune davanti alle trasformazioni epocali che il loro mondo stava subendo, con l’inevitabile catastrofe collettiva finale. Questo avrebbe significato dichiarare l'accordo dello Scrittore con chi nel postmoderno vede il disconoscimento dei fondamenti illuministi dell’età moderna, di valori eterni, universali e assoluti come la Scienza, il Progresso o il Bene.
Non era così semplice fare una scelta di campo. La seconda prospettiva implicava l’affermazione che il ruolo dell’arte, e della letteratura in particolare, è di colmare lo iato tra politica, etica e sapere, dando un senso importantissimo al suo stesso essere Scrittore. Sostenere la prima significava dire che ogni esperienza totalizzante porta pericolosamente vicino al totalitarismo, ad Auschwitz e a forme di coercizione basate sul terrore. Era una dichiarazione di guerra alla totalità.
Dunque, volendo essere coerenti, anche a quella totalità tipica del mondo contemporaneo derivante dalla perpetua connessione in rete: una forma di schizofrenia, che non implica, come si pensa, una personalità doppia o multipla. Al contrario, è un ampliamento percettivo, per cui lo schizofrenico confonde allucinazione e realtà. Così la persona iperconnessa è caratterizzata dalla sensazione di essere ubiqua e contemporanea a tutto. Secondo le teorie neoluddiste più estreme, ne consegue la scomparsa di ogni significato. Nell’era della virtualità, la simulazione genera un reale senza realtà, un iperreale. L'immagine, invece che rappresentare una Realtà-Verità profonda, arriva a nasconderla e persino a negarne l’esistenza; finché smette di avere ogni relazione con la realtà, diventando un simulacro. Eppure, cosa c’era di più postmoderno del tecnoentusiasmo?
Ma proprio quando sembrava si fosse perso in un labirinto senza sbocchi, ecco che gli apparve la via d'uscita: ne aveva appena discusso con l'Ombra! Ariminum Circus era intessuto delle diverse interpretazioni del mondo proposte da Jay (romanticismo) e dal Maestro (idealismo), dal Capitano (tradizionalismo) e dal Piccolo Ed (tecnologismo), da Daisy (nichilismo) ed Helen (edonismo). Si sviluppava raddoppiando, anzi, moltiplicando le prospettive. Si trattava allora di porre l'apologo del JubJub al centro, quasi come una pietra di paragone, di una narrazione in cui coesistessero la continua violazione di confini intertestuali, la mescolanza di generi e l'interpolazione di identità e soggetti appartenenti a diverse dimensioni spaziotemporali…
Lo Scrittore si rimise al lavoro.