La supplente ha appena terminato l’appello.
“Non capisco, ci sono sempre così tanti assenti in questa classe?”
“Eh, professoressa. In molti qui siamo ormai di passaggio - oggi ci siamo, domani magari no. Ah, sì, scusi, sono Giampiero”.
“Grazie, Giampiero. E mi sa dire il motivo?”
“È tutta una questione shakespeariana, prof., esserci o non esserci. E io, Franco Battaglia, ne so qualcosa”.
“Professoressa mi dia retta, lasci perdere. Piuttosto, noi in genere il martedi facciamo conversazione”.
“Lo stavo chiedendo a Giampiero. Comunque lei è…”
“Falcomer”.
“E mi dica, Falcomer, in che senso conversazione”.
“Perché, lei non la fa, conversazione? Il professore dice che dobbiamo imparare la dialettica. Sa, dià lègo, quella roba lì”.
“E come dovrebbe svolgersi?”
“Ma prof, è semplice. Uno butta lì un tema, che ne so… Ecco: il significato della componente sapida nella torta ai pistacchi”.
“Lei è…”
“Franco. Lasci perdere il cognome, è complicato”.
“Mi sta prendendo in giro, Franco?”
“Come, professoressa! Ma ha presente il contrasto tra il salato, che poi per forza è sale Maldon, a piccoli cristalli croccanti, e la crema di pistacchio che scivola sulla lingua…”
“O Franco, e basta parlare di mangiare! Pensiamo piuttosto al riscaldamento globale, allo scioglimento delle calotte”.
“Ha ragione Roberto!”, interviene la più bella della classe. “E a proposito di riscaldamento, qui dentro fa un freddo cane! Buio e freddo, maledetti tirchi”.
“Ti riscaldo io, Violetta!". Italo si avvicina pericolosamente alla ragazza. "Stamani mi sento il fuoco nelle viscere!”
“Lei torni al suo posto, per favore. Si sieda!”
“Senta, prof.: Antonella, Sofia e io pensavamo che si potrebbe parlare dell’Amore…”
“Siiiiii", esulta Italo.
“Abbiate pazienza un attimo, dice bene Violeta: qui dentro è buio pesto. Lei!”
“Chi, io? Veramente…”
“Veramente cosa? Non ho ancora detto niente! Come si chiama?”
“Urbano”.
“Ecco, Urbano, mi faccia una cortesia: vada ad accendere la luce. Grazie”.
“La ragazza che ha parlato prima, Helena, giusto? Mi sembra che abbia sollevato una questione interessante”.
“Come fa a sapere il mio nome?”
“Ce l’ha scritto sulla maglietta, cara.”
Italo si volta subito a osservare il nome che respira sulla maglietta di Elena, metà classe segue il suo sguardo.
“Va bene, e poi come procediamo?”
“Definito il tema ognuno dice la sua. Di solito sono io che assegno i turni”.
“Si dice fare la moderatrice, Tella!”
“Ma quale moderatrice, Silvia! L’ultima volta si è sfiorata la rissa!”
“Dé, ma dovete stare calmi”, sbuffa Silvia mentre tira una gomma addosso a un ragazzo, per richiamarne l’attenzione:
“Howl! Ehi, Howl, ce l’hai un po’ di fumo? Sennò non ce la faccio a sopportarli”.
“Altro che fumo”, interviene Paolo, “qui bisognerebbe irrorarli di Xanax come se fosse napalm.”
“Insomma basta! A me sembra che sia tutta una strategia per perdere tempo. C’è qualcuno tra voi che abbia svolto il lavoro assegnato dal vostro professore?”.
“Non c’era da fare alcun lavoro, proprio niente, prof. La cultura è immaginazione”.
“Come, scusi? Chi è lei? Si alzi.”.
Il ragazzo si alza, è a torso nudo: “Bruno”.
“Senta, Bruno, è impazzito? Si metta subito la maglia”.
“Col cazzo”.
“Come ha detto, prego?”
“Ha detto: col cazzo. E io ritengo sia un’espressione accettabile”.
La voce profonda è uscita attraverso una barba da rider californiano.
“E lei che ritiene, sarebbe…?”
“Non sarei, sono. Jean, signora”.
“Effettivamente, prof…", mormora Urbano.
“Bruno, lei per favore, si rivesta. Quantunque …". Sospira, appoggiata a un gomito. Poi si riprende, allunga il collo: "Scusatemi, ma sbaglio o il ragazzo là in ultima fila sta dormendo?”
“Sì, prof. E infatti secondo me dovremmo fare più piano. Insomma non gridi, così rischia di svegliarlo, poverino”.
“Poverino??? Ma lei chi è, scusi? E il bell’addormentato, laggiù? Voglio il nome, gli farò rapporto”.
“Io sono Davide Marchese, prof. E ritengo che sarebbe molto ingiusto prendersela con l’unico della classe che non ha dato fastidio a nessuno. Lui è Ti, soprannominato Bau”.
“Ti? Bau? Ma cosa sta farneticando?”
“Lo lasci stare, signora, davvero. Avrà suonato fino a tardi, oppure avrà girovagato per i vicoli tutta la notte. Lo lasci riposare”.
TOC TOC
“Avanti”.
Niente.
“Avanti!”
Niente.
“AVANTI”. La voce profonda di Jean si è diffusa sopra le teste dei compagni, sopra la prof, è arrivata alla porta che si è aperta e ha lasciato entrare, con passo baldanzoso, il bidello.
“Oh, signor Fabiani, buongiorno. Qualche circolare da firmare?”
Mentre l’insegnante firma le carte, Antonella si alza:
“Allora, va bene a tutti se affrontiamo il tema dell’amore?”
“Ma dell’amore fisico?”, chiede Italo.
“Certo, e si potrebbe associare anche al tema della cucina, perché lo sapete quanto è eccitante lavorare con le dita un impasto lievitato?”
Una gragnola di fazzoletti, penne, quaderni colpisce Franco.
“Se non le dispiace rimarrei un po’ qui ad ascoltarvi”, dice il bidello alla professoressa, e non suona come una richiesta.
“Fabiani, in realtà non credo…”
“Prof, non assuma atteggiamenti discriminatori!”, esclama Bruno.
“Bruno, lei si rivesta. Anzi no", sospira, "resti così. Va bene, per introdurre la discussione leggiamo un piccolo passo tratto dal Simposio”.
“Che ne dite, ragazzi?”
“La supercazzola!”
“Come, signor Fabiani?”
“Con scappellamento a destra!”
“Ma per favore esca! Ma come si permette!"
“Contestualmente uscirei anch’io per recarmi …”
“Vada, vada, Urbano. Bruno no, lei resti lì.”
Dalle finestre socchiuse entra un rumore di ruote che sgommano sul ghiaino, con frenate e colpi di clacson.
“E ora che succede?”
“Niente, prof. È Anacleto che fa il suo show con la Porche verde”.
“O mio Dio, e come si fa a farlo smettere?”
“Bisogna affacciarci tutti, è l’unico modo. Certi comportamenti sono segnali di ricerca di attenzione”.
“Lei chi è, scusi?”
“La sua Coscienza, professoressa”.
“Ma cosa sta dicendo? Ma io le faccio rapporto!”
“Sarebbe sbagliato, professoressa. Non si è accorta che questa è una comunità di recupero?”
“Ma la faccia finita, e si sieda. Piuttosto lei, signorina, come si chiama?”
“Io?”
“Sì, lei. L’unica che sta zitta e attenta”.
“Sono Adriana, signora, ed è meglio che non parli”.
“Cerchi di spiegarsi”.
“C’è poco da spiegare, direi. La situazione è sotto ai suoi occhi. Pensi alla vita di una persona che viene a scuola per imparare qualcosa e si trova in questa classe”.
“Pensi a me che dovrei insegnarci, allora”.
“Lei è pagata per questo, se vogliamo essere precisi”.
“Scusi, lei…”
“Sono Enrico, professoressa. E non ne posso più di sentire voi insegnanti lamentarvi di non riuscire a tenere una classe. Avete studiato le materie che insegnante? Sì. Avete una formazione pedagogica? Dovreste. E allora datevi da fare. È quasi finita l’ora e ancora non le ho sentito pronunciare una sola parola interessante!”
Un applauso accoglie le sue parole. Alcuni battono le mani sul banco, altri producono suoni gutturali. Enrico scuote la testa e si siede.
“Io sono Laura, professoressa, e voglio dire che sono d’accordo con Enrico. Se il corpo insegnante ha ancora un’onorabilità, non dovrebbe lamentarsi degli studenti. Lo intravede il controsenso?”
“Io sì”, dice una delle ragazze, alzandosi in piedi, “e sono Roberta”.
“Anch’io”, dice Antonietta.
“Anch’io”, dice Barbara.
“Da daaan!”, fa Blu, salendo sulla sedia.
“Professoressa…”
“Sì, Italo. Dica.”
“Non sono tutte bellissime?”