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Narrativa

L'abbandono

Pubblicato il 17/02/2021

Austerlitz di W.G. Sebald è stata una scoperta, un bellissimo libro. Il racconto che ho scritto è nato sotto l'influsso di questa lettura

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Lasciammo l’appartamento di Corso Italia nel dicembre 2007, ma avevamo iniziato a smontare gli arredi e a imballare le suppellettili già da alcuni mesi, per cui, in quella grigia mattina del trasloco, il distacco dalla casa - il nostro primo nido -, che per sette anni aveva assistito alla nostra felicità, fu l’atto finale di un progressivo abbandono. Una cupa determinazione ci aveva spinto e nessun ripensamento ci aveva bloccato. Iniziammo dai quadri, che impacchettammo con la plastica a bolle (e già si percepiva l’ombreggiatura sui muri che ne segnava l’assenza), proseguimmo con la legna del camino, che regalammo a un amico (e la casa ci sembrava più fredda), continuammo con le tende del soggiorno (e il paesaggio cittadino, non più filtrato dal velo sottile che sbiadiva i colori e dissolveva il peso del mondo, ci appariva più crudo). Non ci fermammo davanti ai soprammobili (radiosi ricordi di viaggi in paesi lontani), di fronte alla televisione, alla lampada ad arco e allo stereo. Armati di cacciavite e brugola smontammo il letto e l’armadio della cameretta di Matilde, dalle pareti azzurrine, decorate con nuvole di panna montata e con il Piccolo Principe in volo, aggrappato ai fili tirati da uccellini con le ali spiegate. Non ci stancammo di numerare gli scatoloni ed elencarne il contenuto su un foglio a parte, che si trattasse di vestiti, lenzuola, scarpe, libri, stoviglie e piccole cose inutili cui eravamo in qualche modo legati.

E quando anche il frigo era stato svuotato, ogni scatolone sigillato, e la ditta dei traslochi aveva ammassato e trasferito sul cestello con il braccio elevatore le nostre cose e l’appartamento era tornato nudo e desolato come nel giorno in cui l’avevamo visitato per la prima volta, Adele e io ci guardammo negli occhi con un sorriso di mesta soddisfazione e di tacito ringraziamento.

Nell’estate successiva vendemmo la casa al mare, in Maremma, un bilocale in un gruppo di villette a schiera. Là, invece, le cose si sistemarono in fretta: già dalla primavera l’agenzia immobiliare aveva trovato un acquirente, una coppia sui sessanta, entrambi sorridenti e pieni di premure tra di loro, nello stridente contrasto con la nostra malinconia. Si mostrarono subito entusiasti della casa, arredata con i mobili IKEA, che lasciammo, e le pareti bianche un po’ spoglie. Ci bastò un fine settimana per liberare la cucina e la camera dai pochi accessori e indumenti di cui è dotata una casa per le vacanze. Nel garage – si era depositata della sabbia – ritrovammo i giochi da mare di Matilde: un cigno e un coccodrillo gonfiabili, un secchiello, una palla, due palette, tre o quattro formine, che regalammo a una coppia di vicini con due bambini.

Nel dopocena di quel fine settimana ci recammo per l’ultima volta sul mare e ci arrampicammo sull’altura che domina la baia, com’era consuetudine fare nelle lunghe giornate estive per interrompere la monotonia della spiaggia. Il buio era sceso da poco, sedevamo su una roccia piatta, meta di altre soste, protetti alle spalle dai rilievi più alti, mentre davanti si apriva la tenebra immensa del mare. Solo poche luci segnavano la costa. In quei momenti, nella brezza notturna, interrompendo un silenzio che gravava su di noi, Adele confidò il suo cruccio al pensiero della nostra casetta, di cui conoscevamo ogni segreto (gli arredi che ci avevano reso confortevoli le vacanze, gli utensili che avevamo impugnato, gli odori che avevamo respirato aprendo la finestra al mattino alla vista dei campi e, in lontananza, del mare luccicante) e confessò il senso di vuoto per il distacco da quelle cose, e al pensiero che altri, al nostro posto, le avrebbero usate e ne avrebbero goduto. Forse per esorcizzare questo dolore, quasi una sorta di cura omeopatica, nacque in lei l’idea di visitare case e luoghi abbandonati da altri, desiderio che io dichiarai di voler esaudire senza neanche pensarci.

La prima meta fu Ercolano, l’abbandono per eccellenza, la città pietrificata, la più viva tra le città morte. Camminavamo per quelle strade lastricate, dagli alti marciapiedi, strette tra case a due piani e le vedevo percorse da uomini con la toga, donne con anfore, servi con asini, commercianti che magnificavano i cibi del termopolio. Entrando nelle abitazioni, magnificamente conservate, indugiavamo sui mosaici e sugli affreschi. Ci turbò il ritratto di donna, senz’altro la padrona di casa, che, violando il tempo, ci interrogava con lo sguardo.

L’anno successivo visitammo il paese sommerso dal lago di Vagli, in Garfagnana, che in via eccezionale era stato svuotato. La diga era una muraglia inutile a guardia del villaggio fantasma, autentica Atlantide. Un terreno arido, spaccato, grigio, risuonava sotto i nostri passi. Grigi i ruderi delle case, che custodivano storie di abbandono. Già borgo medievale di fabbri originari del bresciano, il paese contava un centinaio di anime quando venne sommerso, settant’anni fa. Quelle stesse anime, di fabbri, lavandaie, pastori, vagavano in cerca delle loro case. Confesso di avere scorto una donna a una finestra senza vetri, con le braccia conserte, com’era uso un tempo al calar della sera.

In questi lunghi anni abbiamo visitato molti luoghi abbandonati: borghi deserti aggrappati alla roccia, castelli diroccati, villaggi disabitati di miniere in disuso. Abbiamo posato le mani su muri che altre donne e uomini avevano toccato, ammirato affreschi che altri occhi avevano guardato, spiato esistenze tramandate dagli oggetti che possedevano. Da archeologici improvvisati quali siamo, abbiamo dissotterrato solo tracce, frammenti, scaglie di vita.

Innumerevoli foto, poi, ha scattato Adele, e ci sono immagini di straordinario nitore, altre che inquadrano un particolare irrilevante, e quelle che cercano di catturare il ricordo, l’attimo, che più di una presenza indagano un’assenza, un qualcosa che non c’è o su qualcuno che non ha più né volto né voce. Nei primi anni incollava le foto su album corredandole di minuziose didascalie, in seguito è passata alle foto digitali salvate sull’hard disk, infine fotografava poco o niente: si era arresa davanti alla lacunosità della conoscenza.

E quando pensavo che si fosse allentata in lei l’attrazione per questi singolari viaggi, affievolita questa curiosità un po’ macabra, e fossi finalmente salvo, propose, nel mio smarrimento, di visitare appartamenti in vendita, scegliendoli non tra quelli vuoti, ma tra quelli i cui arredi lasciavano intuire la vita di chi li aveva vissuti.

Mentre ignari agenti immobiliari ci portavano in visita all’appartamento decantandone lo spazio, la luminosità e il buono stato, Adele andava in cerca di indizi, che coglieva dal tipo di mobilio, dai titoli dei libri sugli scaffali, dalle foto e dai quadri. Con falsa noncuranza faceva domande sul motivo della vendita, e ora le veniva risposto, non senza imbarazzo, che era a causa della separazione di una giovane coppia (si capiva dallo stile moderno e informale della casa), ora ci veniva riferito di una famiglia numerosa in cerca di una stanza in più (era chiaro dal letto a castello e dalla roba affastellata), oppure di un single trasferitosi altrove per motivi di lavoro (evidente dall’arredamento spoglio e casuale). L’ultimo appartamento che visitammo aveva mobili vecchi e fuori moda, una cucina logora, soprammobili di dubbio gusto. In una camera il letto era provvisto di sponde. Sul comò erano allineate alcune foto con cornici di diversi materiali e dimensioni. Ricorreva l’immagine di un'anziana signora  di robusta corporatura, affiancata da un uomo o da una donna sulla quarantina, o da altre persone. In una cornice in plexiglas, la stessa signora sorrideva a una bambina sui cinque anni, seduta sulle sue ginocchia. Subito mi colpì la straordinaria somiglianza con Matilde. Con tutto il cuore sperai che Adele non se ne fosse accorta, e le toccai la spalla, con leggerezza, per distoglierla e invitarla a proseguire nella visita. Adele rimase immobile scrutando la bambina della foto, ma poi, con un rapido sguardo, mi implorò di andare via. Ci congedammo dall’agente immobiliare e in macchina non scambiammo una parola.

Si aprì una terza fase, dopo le città disabitate e le case in vendita. Adele si mise in testa di ricercare la bambina della foto. Si intestardì in questa volontà opponendo mutismo e astio al mio invito al buon senso. Il nostro rapporto si stava incrinando e dovetti acconsentire. Chiedemmo informazioni all’agenzia immobiliare, suonammo ai campanelli dei vicini dell’anziana signora, facemmo telefonate accampando scuse o fingendo conoscenze. Alla fine, l’attività investigativa fornì nome e indirizzo: la bambina si chiamava Giada e abitava a Roma. La mamma era la figlia della signora.

Prendemmo il Frecciarossa, una mattina pallida di marzo, e un taxi ci condusse a destinazione. La bambina era a scuola, a quell’ora, disse la portiera del condominio, subito prodiga di particolari. Ci indicò la strada per la scuola. Ci arrivammo in anticipo, aspettammo il suono della campanella e ci opponemmo al flusso dei bambini che sciamavano, nel rincorrersi di voci e risate. Subito Adele la riconobbe, le corse incontro e chiese alla mamma, incredula, che la teneva per mano, se poteva abbracciarla.

Tornammo a casa per cena. Quella notte, a letto, Adele si girò verso di me – la scorsi nella penombra, non riuscivo a prendere sonno – e allungò un braccio per cercarmi. Approdò sulla barba.

- La chiameremo Giada.

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Redazione ha votato il racconto

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Caro Paolo Sbolgi, il tuo racconto è stato commentato da Andrea Tarabbia per la rubrica "Lo scrittore che legge". Guarda il video su BellevilleNews.Segnala il commento

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Anonimo ha votato il racconto

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Violante ha votato il racconto

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AffascinanteSegnala il commento

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Ellan ha votato il racconto

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Molto bello!Segnala il commento

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pelle di limone ha votato il racconto

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Paola Zaldera ha votato il racconto

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Eleonora Gregorat ha votato il racconto

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Ti ho scoperto su Typee 2021, sarà questa fredda mattina di febbraio (ma io so che nel Convento dei Capuccini, tra le morte foglie, son nate le viole) ma l'emozione che questo tuo racconto mi ha suscitato è stata davvero meravigliosa...Complimenti! Segnala il commento

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Anonimo ha votato il racconto

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AdeleArts ha votato il racconto

Esordiente

Un viaggio tra odori,colori,emozioni antiche . Quelli della vita che passa in ogni dove. Complimenti.Segnala il commento

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terrybu ha votato il racconto

Esordiente

Leggendolo ho pensato che lo scrivere è una delle poche cose che ci è rimasta che inchioda anche piccoli eventi al senso. GrazieSegnala il commento

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Anonimo ha votato il racconto

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Zoyd Gravity ha votato il racconto

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MMarianella ha votato il racconto

Scrittore

Ho apprezzato moltissimo la cura nel raccontare. Struggente, davvero.Segnala il commento

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Cassiopea ha votato il racconto

Esordiente
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francescas ha votato il racconto

Esordiente

Davvero davvero toccante, un bellissimo viaggio nell'elaborazione di una perditaSegnala il commento

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Jean per Jean ha votato il racconto

Scrittore
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Graograman ha votato il racconto

Scrittore

Gran lavoro Paolo. Struggente. Segnala il commento

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occhineri ha votato il racconto

Esordiente

La casa come il luogo dell'anima...racconto molto belloSegnala il commento

Photo

Mela Golden ha votato il racconto

Esordiente
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Mauro Scremin ha votato il racconto

Esordiente
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M.D.P. ha votato il racconto

Esordiente
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Anonimo ha votato il racconto

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vita e passione ha votato il racconto

Esordiente
Editor

Un racconto toccante che ci mette di fronte alla realtà della vita. Andare lontani lasciare la casa per necessità o per scelta abbandonare i ricordi e il bisogno di trovarne altri. Vedere le tracce di vite lontane lasciate in luoghi solitari. Suggestivo il finale in questa riconciliazione tra il passato e il presente Bello!Segnala il commento

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Giampiero Pancini ha votato il racconto

Scrittore

Davvero notevole, atmosfera, ambiente, parole e persone perfettamente calibrate in questa malinconia leggera che, per fortuna, si abbandona.Segnala il commento

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Valentina Raniello ha votato il racconto

Esordiente
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Frato ha votato il racconto

Esordiente

Tenero racconto piuttosto introspettivo e luminoso. Ciao Frato.Segnala il commento

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gionadiporto ha votato il racconto

Scrittore
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Antonio Tammaro ha votato il racconto

Scrittore
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Roberta ha votato il racconto

Scrittore

racconto pieno di gesti e di luoghi. la tua scrittura è un occhio attento. stile sobrio, lettura intensa.Segnala il commento

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Imago ha votato il racconto

Esordiente
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Anonimo ha votato il racconto

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Philostrato ha votato il racconto

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Ti Maddog ha votato il racconto

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Ezio Falcomer ha votato il racconto

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blu ha votato il racconto

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Ondine ha votato il racconto

Esordiente

Attraverso lo scorrere delle immagini, ci porti con stile mirabile nelle infinite sfaccettature della mente e dei sentimenti che si interrogano, si sgretolano per ritrovarsi ispirati dal passato e dal presente e a volte, possono sorprenderci e anche sfuggirci di mano. Il paese di Vagli in Garfagnana lo ricordo bene. Affascinante racconto. Segnala il commento

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Silvia Lenzini ha votato il racconto

Scrittore

Bellissimo, Paolo. Perfetto nello stile e affascinante il soggetto. Per mio parere - ma si sa, son gusti - hai scritto un piccolo capolavoro. L’asterisco per lo stile, ché i pallini mi sono insufficienti. *Segnala il commento

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Franco 58 ha votato il racconto

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Urbano Briganti ha votato il racconto

Esordiente
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AliceBoscariol ha votato il racconto

Esordiente

Mi piace come vengono tratteggiati i paesaggi, ma noto un’abbondanza di aggettivi e di elencazioni che rendono sì lo scorrere del tempo e l’idea del viaggio, ma rischiano di compromettere l’aspetto visivo del racconto. La forma mi sembra comunque impeccabile (quella sull’aggettivazione è una questione di gusto personale). Segnala il commento

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Sonia A. ha votato il racconto

Esordiente
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Adriana Giotti ha votato il racconto

Scrittore

La casa come teatro-simbolo della presenza-assenza dei suoi abitanti, luogo della rappresentazione della vita, dell' amore e del dolore. La ricerca della via che conduce dalle "tenebre immense del mare" al "mare luccicante". E infine quel nome - Giada - apprezzata da sempre per il potere taumaturgico. Uno stile asciutto, scevro dai virtuosismi di chi vuole colpire il lettore a ogni costo. Si resta affascinati da ogni particolare, da ogni parola. Quell'"approdo sulla barba" è un dettaglio da maestro.Segnala il commento

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Federico D. Fellini ha votato il racconto

Scrittore

Scrittura impeccabile. Un paesaggio desolato. Fisico e dell'anima. Racconto perfetto in questi tempi pandemici.Segnala il commento

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Davide Marchese ha votato il racconto

Scrittore
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Tella ha votato il racconto

Scrittore

AffascinanteSegnala il commento

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Katzanzakis ha votato il racconto

Scrittore

Un lavoro di cesello, pezzi di vita che ci lasciano per ricomporsi in un altrove che non ci appartiene. Bello.Segnala il commento

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di Paolo Sbolgi

Scrittore
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