La ragazza era nuda. Al di là del cortile le luci erano accese, le finestre del balcone spalancate e lei guardava fuori, nel buio, reggendo un bicchiere in una mano e una sigaretta tra le dita sottili dell’altra. A tratti scoppiava a ridere e, quando lo faceva, gettava indietro la testa, la gola che si inarcava, la bocca spalancata come se ammirasse qualcosa sul soffitto.
Nei rettangoli gialli compariva e scompariva anche un giovane, pure nudo, e i due non facevano altro che ridere e bere e ballare. E poi avevano iniziato a scriversi addosso con dei pennarelli. Da lì non riusciva a leggere le parole, ma dovevano essere delle frasi oscene. O d’amore.
Di notte, quando si svegliava e avvertiva quella contrazione sopra l’ombelico, si alzava e stava alla finestra, aspettando che passasse. Quella notte, dopo avere guardato i due giovani finché non erano andati a dormire, era tornata verso la camera a tentoni, per non svegliarlo. Poi, però, aveva schiacciato tutti gli interruttori.
- Che cosa… - aveva attaccato con voce malcerta.
Lui si era voltato a mezzo. Aveva sbattuto le palpebre nel chiarore improvviso e fissato su di lei lo sguardo che aveva quando non riusciva a ricordarsi i nomi delle cose o dove le aveva messe. Le guance erano incavate, come se la carne si stesse sciogliendo giorno dopo giorno per andare a rapprendersi sotto le mandibole, la bocca aveva piccole crepe che si aprivano perpendicolari al labbro superiore. La mano piena di macchie tremolava reggendo il lenzuolo. Era la stessa che aveva tenuto stretta la sua in un'altra estate di tanti anni prima, a Gaiole, sdraiati sull'erba a guardare la Via Lattea, col terreno ancora caldo sotto di loro e l'impressione di sentire il moto della Terra e di avere tutte le risposte.
Così, quando lui le aveva chiesto che c’era, aveva scosso la testa come per scacciare un pensiero e risposto che niente, non c’era niente, e aveva spento le luci.