Il vecchio cercò di aprire gli occhi, ma non riuscì ad alzare le palpebre.
Lo sforzo gli ricordò quello di sollevare la saracinesca del suo negozio.
Un colpo secco, deciso e poi l’inerzia avrebbe fatto il resto.
Per quanti anni aveva ripetuto quel gesto? L’aveva fatto con il sole e con la pioggia, con voglia e senza, con passione e svogliatezza, con profitto e con i debiti.
Era suo dovere e l’aveva fatto per tutta la vita, spinto dall’inerzia di una passione giovanile diventata poi routine.
Avrebbe dovuto trovare nuovi stimoli o, come si diceva oggi, nuove sfide, ma non ne aveva avuto voglia.
Va bene lo stesso, si disse, troppo tardi.
Cercò di focalizzare l’attenzione sui suoi occhi e finalmente riuscì ad aprirli. Distinse delle forme sfocate nella luce improvvisa.
In primo piano vide una giovane infermiera che sorrideva con il misto di pietà e stanchezza di chi guarda poveri cristi come lui tutto il giorno.
Dietro la figura alta e magra di suo figlio. Lo sguardo leggermente in ansia, ma anche, come sempre, distaccato e lontano.
Era stato così fin da piccolo. Sembrava sempre preso da qualcosa di importante, qualche questione vitale che richiedesse la maggior parte della sua attenzione.
Aveva ereditato quella posa naturale da sua madre. Il vecchio ricordò quanto gli piacesse osservare di nascosto Sara quando se ne stavano, poco più che ragazzi, distesi in spiaggia a Cesenatico.
L’avrebbe potuta guardare per ore mentre lei se ne stava a fissare il mare, persa nel suo mondo mentre lui cercava d’immaginare cosa stesse pensando.
Solo molto più tardi aveva compreso come gli pesasse non capire mai cosa avesse in testa.
Magari sarebbe bastato chiedere, pensò.
Va bene lo stesso, si disse, troppo tardi.
Lei non era nella stanza. Non era più nella sua vita da tanto tempo. Al momento non avrebbe nemmeno saputo dire da quanto e non ricordava se un episodio specifico avesse segnato la fine della loro storia.
In fondo le storie hanno sempre un inizio, ma raramente una fine.
Il vecchio fece uno sforzo e spostò il suo sguardo dall’altra parte del letto e, finalmente, vide qualcuno che piangeva.
Sua figlia Margherita se ne stava alla sua sinistra, leggermente incurvata verso di lui, senza riuscire a fermare le lacrime.
Era sempre stata la luce dei suoi occhi. Era stato lui ad accompagnarla al primo giorno di scuola, alle partite di pallavolo, a discutere la laurea e all’altare quando aveva sposato quel buono a nulla di suo marito.
Probabilmente era riuscito a deludere anche lei quando l’aveva lasciata con sua madre.
La guardò e si sentìsicuro che lei non gliene avrebbe fatto una colpa. Avrebbe comunque voluto chiederle scusa, così in generale, per tutto.
Ma non ne aveva la forza, l’unica cosa che riuscì a fare fu stringerle più forte la mano.
Va bene lo stesso, si disse, troppo tardi.
Tornò con lo sguardo verso il figlio. Lì ci sarebbe stato da lavorare.
Ora non riusciva a concentrarsi, i ricordi erano confusi, sbiaditi, mischiati e sovrapposti.
Eppure ricordava le camminate in montagna, la prima volta in bicicletta senza rotelle, i pomeriggi sugli sci, il suo primo incidente, il battesimo di suo nipote. C’erano stati dei momenti in cui erano stati vicini, complici, ma non erano stati molti e comunque non abbastanza.
Avevano mai veramente litigato? Non lo ricordava, ma avrebbe scommesso di no.
Lo guardò e pensò di vedere nel suo sguardo del rimpianto. Non per quello che non era stato fatto, ma per quello che non era stato detto.
Il vecchio era sicuro che le chiacchierate chiarificatrici in punto di morte si vedano solo nei film americani.
Nella realtà ci si lascia così, tenendosi tutto dentro e andando avanti.
Avrebbe solo voluto dirgli che la colpa non era di loro due, che la vita va come deve andare, che ognuno cerca di fare il possibile.
Forse avrebbe voluto aggiungere che gli voleva bene.
Va bene lo stesso, si disse, troppo tardi.