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Avventura

La danza del demone

Pubblicato il 13/11/2017

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"Che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, che possiamo toccare, odorare o vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello."
L'uomo fissava lo scorrere delle immagini sullo schermo, ipnotizzato: le sue pupille erano dilatate, come nel pieno di un trip, mentre nel teleschermo un uomo vestito di nero continuava a discutere di mondi reali e fittizi. Lo spettatore era immobile sulla sua poltrona, immerso in una stanza quasi del tutto buia fatta eccezione per la luce proveniente dalla tv, e sprofondava sempre più in quelle torbide immagini di apocalisse ed esseri umani sintetici.
- "Sei ancora incollato a quello schermo? Sei in ritardo, lo sai?" tuonò irritata una voce femminile alle sue spalle. 
Ed eccolo sbucar fuori, quel piccolo demonio nero come la pece. Si ripresenta dentro, affonda con forza i suoi piccoli ed affilati artigli nelle budella, divertendosi a danzare sopra di esse in una sorta di primitiva danza : lo stomaco sembrava quasi attorcigliarsi su se stesso, dando all'uomo una sensazione di bruciore. La donna continuava a parlare energicamente, ma a vuoto: all'uomo non arrivavano che deboli suoni soffocati, quasi come se quelle parole arrivassero dall'esterno di un acquario e lui ne fosse all'interno immerso profondamente nell'acqua, la sua acqua. Si recò velocemente in camera sua, infilò la giacca e prese la borsa del lavoro.
- "Passa a prenderti quel tuo solito collega? Come si chiama? Lo dimentico sempre..."
- "No, Andy è di riposo oggi." Controllò velocemente il contenuto della sua borsa, assicurandosi che non mancasse nulla.
- "Vado a piedi. Stasera c'è parecchio traffico e preferisco tagliare da dietro."

Si fiondò fuori dalla porta rapidamente. Neanche fece in tempo a infilare la cintura con la fondina e la pistola d'ordinanza che si ritrovò a scendere le scale e a correre in strada, incontrando un freddo pungente. Prese a camminare praticamente a memoria, in automatico: era da 5 anni che lavorava lì come guardia e quelle strade non avevano più segreti per lui. Quella sera del 31 Ottobre era particolarmente viva: mentre orde di bambini affamati tornavano in fretta a casa per gustarsi i dolciumi conquistati, schiere di giovani e meno giovani scendevano in strada truccati da mostri, pronti a godersi la festa bevendo fiumi di alcol per strada o in quale locale del centro.

Jack, poco più che trentenne, non amava particolarmente le feste chiassose e in generale le folle. Era quello uno dei principali motivi che lo spinse nel suo lavoro a dare la sua preferenza per i turni notturni: oltre ovviamente alla paga oraria decisamente più alta.

- "Ben arrivato! Dormito troppo anche oggi, giovanotto?"

Il piccolo demone, nero come la notte, si fece subiro risentire: sghignazzava di gusto mentre saltellava qui e lì. Le budella di Jack sembravano in fiamme e il giovane uomo serrò i pugni con forza.

- "Non esattamente. Tutto tranquillo?" Jack riprendeva fiato, mentre il suo collega sembrava volesse prenderlo ancora un pò in giro a causa del suo ritardo.
- "Tutto tranquillo. Sto facendo il solito giro di ronda dei 60 minuti. Oggi la tua postazione è quella posteriore, a dopo."

L'uomo, di mezz'età e decisamente in sovrappeso, si allontanò lentamente per riprendere la sua ronda all'esterno del Palazzo. Jack entrò nell'edificio e si recò alla sua postazione, dall'altra parte della enorme struttura. Il Palazzo del Congresso, di giorno perennemente affollato da politici, burocrati e decine di guardie, era il cuore pulsante dell'attività politica della city. La notte si trasformava in un luogo come un'altro, perennemente avvolto nel silenzio quasi totale.
Ma quella notte del 31 Ottobre fu diversa.
Bob russava, palesemente addormentatosi una volta tornato nella sua postazione di lavoro, ma anche altri erano i suoni che si potevano udire in lontananza: suoni di una città in festa. I festaggiamenti per la notte dei morti erano in pieno svolgimento: si sentiva distintamente la musica caratteristica provenire dalla piazza, dove era stato addirittura allestito un palco..

Fuochi d'artificio improvvisamente illuminarono il cielo scuro, mentre Jack sedeva alla sua postazione e controllava gli schermi delle telecamere di sorveglianza. Un botto dopo l'altro il piccolo demonio nero saltellava sullo stomaco di Jack. La musica, nonostante fosse abbastanza lontana, era talmente forte da poter essere distintamente udita assieme alle urla e agli schiamazzi delle persone. Lo stomaco bruciava, le budella sembravano stringersi sempre più. L'uomo decise che era giunto il momento di agire.

Borsa alla mano, Jack lasciò temporaneamente la sua postazione per una ronda che presto deviò: salì le scale con foga e presto si trovò ad aprire una grossa porta di metallo che lo condusse all'esterno del Palazzo, sul tetto. Il freddo era sempre più pungente e nell'aria si poteva distintamente sentire l'odore di bruciato tipico dei fuochi d'artificio. Posò la borsa in terra e mentre in ginocchio ne estraeva il contenuto non potè fare a meno di pensare agli scorsi mesi: il congedo dall'esercito, la burocrazia, il rientro nella società civile, la terapia.

"Stress post-traumatico" recitavano le carte. Ma a Jack non importava, il suo posto era sempre stato nell'esercito e quel posto gli era stato negato nonostante tutto. Jack voleva combattere per rendere il mondo un posto migliore, ma si ritrovò con un pugno di mosche, mentre il mondo sembrava essere un posto peggiore ogni giorno che passava.

Prese il fucile, avvitò la canna rigata e subito dopo montò il mirino telescopico, il caricatore fu poi il passaggio immediatamente successivo. Posizionò l'arma sul treppiede. Grazie al mirino dell'arma. riusciva a vedere bene la zona della piazza, sopratutto grazie all'altezza del punto in cui si trovava.
Le folla era in delirio, le persone ascoltavano la musica e bevevano birra, godendosi a pieno quella serata di festa.

"E' per questo che ho combattuto? Per fare in modo che loro possano godersi la vita?"
Il piccolo e nero demonio continuava ancora più forte a saltellare sulle budella di Jack, mentre lo stomaco sembrava bruciargli ancora più intensamente.

"Perchè agli altri è permesso mentre a me non lo è?"

Fece un lungo respiro. Aprì leggermente la bocca e prese la mira. Fuoco. Il primo proiettile partì e un primo bersaglio cadde al suolo.
Ricarica.
Fuoco. Un secondo proiettile per una seconda vittima. Cadeva anch'egli al suolo inerme. Le urla di gioia si trasformarono in urla di terrore, gli agenti presenti sul posto cominciarono a far defluire le persone mentre altri spari si udirono.
Un terzo colpo, poi un quarto, un quinto e molti altri ancora. La folla provavva a disperdersi mentre i bersagli cadevano come birilli, in una pozza di sangue rosso vivo.

Il piccolo demonio nero come la pece, smise la sua danza. Ben nutrito, si acquietò.








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Paolo Santaniello ha votato il racconto

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Lisa M. ha votato il racconto

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