“La donna cuscino ha un cuscino al posto della testa: dove finisce il collo e dovrebbero esserci gli angoli della mandibola si estende una fodera celeste di cotone. Profuma di ammorbidente alla lavanda.”
La donna cuscino era comparsa in mezzo alla pianura che Filippo, Ginevra, Roger e Paola si stavano lasciando alle spalle. Attraverso il portale sospeso a mezzo metro dal suolo si intravedeva uno squarcio dell'ultimo mondo visitato: un prato dove tutti dormivano sereni all'ombra delle Luci Perenni della città, mascherine per la notte addosso. Loro le avevano sabotate e si erano fatti addormentare da lei per il tempo necessario affinché l'energia elettrica rimanente si esaurisse – giorni, forse settimane, probabilmente mesi, magari uno o due anni. Si era fermato pressoché tutto, tranne gli animali.
Gli abitanti avevano disinfestato la città e circondato i parchi di cancelli molto resistenti, abbandonando fuori i loro animali domestici. Le porte delle case erano state lasciate aperte; i sacchi del cibo messi lungo le case, i viottoli di ghiaia che attraversavano i giardini fino al cancello, negli androni dei condomini, contro gli scalini che scendevano dai terrapieni fino al fiume. Per la sete non ci sarebbero stati problemi, con l'acqua che strisciava lungo il diametro cittadino da est a ovest.
“Quando la vedi comparire è considerata un segno ambivalente.”
“Da cosa dipende?”
“Da quanto sei fortunata, fondamentalmente. A meno che tu sia stata una bambina cattiva.”
Uscita dal cancello principale del parco, la donna cuscino lo aveva lasciato accostato. Sulla piazza si affacciava un cartello appeso alle sbarre di ferro.
“A TUTTI GLI ALTRI: NON OLTREPASSATE I CANCELLI DEI PARCHI E LASCIATECI RIPOSARE IN PACE. NON NE POSSIAMO PIÙ DI TUTTA QUESTA LUCE, VOGLIAMO DORMIRE LA NOTTE. STATE TRANQUILLI, RITORNEREMO.”
Il messaggio era riprodotto a caratteri cubitali per tutta la città – dalle piazze, alle vie, ai muri dei condomini e alle cassette delle lettere delle case private. Ognuno aveva deciso di specificare la propria fuga dalle Luci Perenni che li tormentavano da mesi, anni, forse secoli; la deprivazione del buio, seguita dal sonno alterato, aveva ingarbugliato i loro ricordi. Erano diventate delle perfette macchine umane: facili da rimpiazzare (oltre che economici, grazie a politiche di fecondazione forzata a partire dal sedicesimo anno d'età) e con un'obsolescenza programmata in modo tale da garantire un rapido deterioramento (massimizzando il profitto tra lavoro e consumo compulsivo) in favore degli abitanti della Capitale.
“Ma io sono una bambina buona.”
“Devi considerare che il bene e il male non sono concetti univoci, Ginevra: alcune scelte ritenute sensate da altri potrebbero risultarci inconcepibili. O ingiuste.”
Gli animali della città, attratti dagli odori delle strade, erano andati a curiosare in giro: si stavano formando dei gruppetti che pisciavano sul marciapiede, che ringhiavano e combattevano per una femmina in calore, che giocavano e alcuni mostravano i denti. I cani e i gatti percepivano l'odore della donna cuscino e arretravano, saltellando sulle loro tre zampe.
Ai cani e ai gatti era stata tagliata la zampa anteriore destra appena nati per diminuire la loro minaccia. I bambini cittadini non potevano rischiare di essere inseguiti e graffiati – le difese immunitarie erano basse, le medicine costose. Gli animali domestici venivano considerati alla stregua di giocattoli smontabili; perciò dovevano essere divertenti ma sicuri. L'amputazione e la sterilizzazione erano compresi nel prezzo d'acquisto.
Prima di mostrarsi agli abitanti della città la donna cuscino si era rivelata agli animali.
“Sono curioso, ma spero di non incontrarla mai.”
“Perché, Filippo?”
“Perché noi tre siamo tutti bambini cattivi. Saremmo fottuti.”
Uno a uno la donna cuscino aveva preso cani e gatti sfruttando i turni di lavoro dei loro padroni: li aveva accarezzati, calmati e si era sdraiata a terra con loro, fungendo da cuscino. Durante il sonno gli animali sbavavano e si agitavano ma l'odore della lavanda rimaneva intenso, riportando alla memoria
fatti che non potevano ricordare. Mutilazioni e sterilizzazioni subite da cuccioli, compiute dalle mani che li sfamavano e li portavano al guinzaglio.
Lei li aveva stimolati col dolore e la rabbia, portandoli ad avere una nuova coscienza.
“Basta tapparsi il naso – se per caso qualcuno dovesse vederla. O almeno, così dicono.”
“Ah sì, Roger?”
“Certo. Poi te la dai a gambe senza voltarti indietro.”
Gli animali l'avevano lasciata sfilare per poterne seguire a ritroso la scia di profumo, fino al parco, che avevano un unico pensiero in mente: la rabbia, cresciuta come una miccia imbevuta d'alcol, era stata infiammata dal passaggio delle donna col cuscino.
Erano schizzati alla carica come una fiamma rapida e chiassosa, snodandosi abbaiando lungo le vie verso i loro padroni che riuniti, inermi, attendevano le stelle al di là delle Luce Perenni.
Tutti gli altri parchi erano già stati visitati dalla donna cuscino.