Se ne stava dirimpetto davanti alla tomba di famiglia e piangeva in silenzio, distrutto.
Nessuno gli aveva riferito che sua madre e sua moglie erano morte quella stessa notte a distanza di qualche ora, aveva invece appreso l'infausta notizia dai giornali locali, specialmente dal New's di Storry, il quotidiano che era solito comprare ogni santo giorno nell'edicola accanto alla sua casa, quella gestita da sempre dal grassone Fabrice Blumer.
I necrologi stavano lì, era tutta lì la solfa in caratteri molto piccoli ma leggibili nero su bianco.
Non potevano aver sbagliato, nessuno commetteva errori sui morti, perciò quella era sua madre di ottant'anni e sua moglie di cinquantotto.
L'una era vestita con una veletta nera calata sul viso come a volersi proteggere da un sole inesistente, mentre l'altra, che Dio la perdonasse per le innumerevoli bestemmie pronunciate in vita contro la suocera, aveva la testa quasi rasata per via della chemioterapia.
Il cancro se l'era portata via e lui non ne sapeva assolutamente nulla.
"Si dispensano visite", c'era scritto sui necrologi che l'uomo stava leggendo con tanta parsimonia, e mentre fissava il foglio sghembo del giornale (era una giornata ventilata e ora il quotidiano si spostava leggermente a destra difatti lui lo tenne ben stretto ma con nonchalance), con la coda dell'occhio dette uno sguardo fugace al ritratto di sua madre e di sua moglie, sepolte una accanto all'altra.
E pensare che in vita se ne erano dette di ogni, si erano prese per i capelli per motivi davvero futili specialmente visti da una mente maschile, e mentre ricordava quei dissapori, il pagliaccio quasi rise in modo grossolano, tanto da venir fuori una lacrimuccia, causata forse dall'emozione ma specialmente, a ben pensarci, dalla deformazione professionale in cui era solito sprofondare ogni volta che capitava l'irreparabile nella sua vita e in questo caso la morte delle due uniche donne che avesse mai amato.
Abituato com'era a vivere in un tendone e a far piangere o ridere i bambini a seconda della loro vocazione artistica o altrimenti predisposizione emotiva alla paura o alla goliardia, sentire la lacrima sul suo viso non gli fece quasi effetto, ne fu lievemente lieto, come se avesse scoperto la ricetta per la vera felicità e fosse pronto a compiacere i bimbi che andavano a vedere curiosi il suo spettacolo assieme ai genitori invece alquanto annoiati.
Annusò l'aria, era quasi sicuro di sentire l'odore infinitamente acre e intenso del letame degli elefanti, ma anche quello buono e dolcissimo dello zucchero filato che i ragazzini regalavano con tanta premura alle loro compagnette di tredici anni per poi prenderle per mano e portarle nel tunnel degli orrori oppure nella Stanza degli Specchi.
Ne avrebbe riso in un altro momento, e sarebbe stato ben lieto di vederli andar via con il sorriso stampato sulle labbra, rosse di baci o di lucidalabbra rubati alle sorelle più grandi che molto probabilmente trascorrevano il pomeriggio studiando in biblioteca o a casa dei fidanzati di turno.
Ne avrebbe riso tanto da sganasciarsi e farsela sotto, ma non era quella la volta buona, perchè quando iniziò a piovere avvertì un brivido di minacciosa agonia salirgli lungo la schiena e ripensò alle morti che stavano avvenendo in città in quel periodo, in quel Marzo del 2004, specialmente in periferia, dove Ballalauy Street si incontrava con Piertam Street, non distante dalla sua abitazione.
Il signor Robert, questo il suo nome, si asciugò le lacrime e la pioggia iniziò lentamente a sciogliere la maschera di cerone e trucco pesante che aveva addosso, e se solo avesse avuto davanti a sé un piccolo pezzo di vetro su cui potersi guardare, avrebbe scorto il viso stanco di un uomo che non si sarebbe forse mai più ripreso da quei lutti e dalla depressione.
Il cimitero, che si espandeva come a macchia d'olio, assomigliava in realtà più ad un labirinto mal curato che ad un camposanto, e Robert rabbrividì di nuovo.
Le morti, quelle morti così strane e rapide... ne avevano parlato dappertutto in televisione e sui giornali, ma sua madre diceva che gli assassini erano ormai roba da gettare nel dimenticatoio, che erano cosucce da fumetti dell'orrore proprio come la storia del Licantropo e della luna piena.
Ma lui non le aveva dato retta, mai. Solo che quando la mamma veniva contraddetta erano dolori, era stato così fin da quando lui era solo un poppante e lei gliene dava di santa ragione e lo chiamava "stupido ranocchio senza denti né cervello".
Era sempre stata indelicata e adesso che era morta, a ben pensarci, Robert sentì quasi sollievo, sciolse i muscoli e si incamminò verso il cancello dritto per andare all'uscita.
Ciò che vide lo fulminò all'istante.
Tutto ciò che aveva sempre sentito dire al riguardo dei clown lo aveva infastidito, poiché non era bello essere insultati o sapere di incutere terrore solo perché si indossa uno stupido abito colorato di arancione o blu elettrico con tanto di pon pon rossi.
-Bip Bip, Rob. Allora, come te la passi?
C'era un pagliaccio, davanti al cancello, e nonostante il vento i suoi capelli arancione chiaro non si mossero di un millimetro. Robert non capiva come questo potesse essere possibile, eppure era vero come era reale che molti anni prima in quello stesso cimitero delle persone erano state fatte a pezzi da una persona o da...
Da che cosa?
Il pagliaccio tolse fuori la lingua e mostrò una protuberanza molto evidente al di sopra, come una bolla o una pustola schifosa. La lingua era di un verde marcio e l'odore nauseabondo che ne scaturiva soffocava l'aria insalubre.
-Bip bip.
Intonò il mostro clown, assumendo prima le sembianze della moglie di Robert e poi quelle della mamma dello stesso. E poi delle voci in lontananza, come se il circo non fosse poi tanto distante da quel luogo diventato un incubo.
Sentì bambini e bambine ridere ma sembravano piuttosto... morti che parlavano e piangevano al contempo, in singhiozzi sfrenati.
-Aiutali, Rob. Aiutali!!! A - I - U - T - A - L - I...
Il clown rise e rise, aprì la bocca, la spalancò divertito e prima di perdere completamente i sensi, l'unico pensiero di Robert andò a suo figlio, morto molti anni prima, in circostanze alquanto misteriose quando era solo un bimbo di sei anni, di nome George Denbrough.