Era cosi piccolo, davvero minimale, lo potevi schiacciare nel portafoglio insieme ai buoni sconto riposti a fisarmonica in qualche taschina di quelle introvabili, dalle quale le cose benriposte fuoriescono solo al momento di buttarlo, il portafoglio. Una volta c’erano quei bei viaggi in treno, quando ancora il telefono non occupava testardo le mani, che era proprio il momento perfetto per rovesciare tutto sul tavolinetto estraibile, scontrini, monete di valute sbagliate, appunti senza un contesto, il bottone da ricomprare, la fototessera vagante, perdere di vista tutto all’entrata in galleria nei pochi secondi di buio totale, le mani a cupola a proteggere da un vento immaginario e poi ricercare piano il posto giusto per tutto, fino al prossimo viaggio.
Era così piccolo, minimale, lo potevi trascurare in quei portacarte sulla scrivania dove il tempo accumulava bollette, ritagli, analisi del sangue, la foto da duplicare, i biglietti aerei del prossimo viaggio. Non era mai un’operazione semplice occuparsi del portacarte perché significava affrontare le bollette da pagare, i ritagli che avresti voluto archiviare ma non avevi mai deciso come, le analisi sballate da riprogrammare sfidando il nuovo sorteggio dei numeri, la foto così lontana che ora ti trovavi bella ricordando quanto ti detestavi- che spreco di tempo questa vita coi tempi sfalsati - i biglietti del prossimo viaggio dove ogni scelta era un’inevitabile esclusione. C’era poi la riunione di condominio col suo promemoria, l’ordine del giorno, il disordine della notte, inevitabile, che segue i riordini.
Era piccolo, minimale, lo potevi abbandonare in quelle scatole eleganti, virtuali ram virtuose della memoria decentrata, con le lettere ricevute e la copia di quelle spedite, per correttezza sentimentale, le foto di un noidue mai dichiarato fermato in uno scatto a tradimento, che assurdo gioco di parole, in quelle rose seccate non ricordi più a festeggiare cosa, nei depliant patinati di alberghi in città da allora adesso preservate sotto una lucida, struggente formalina, inalterate, nelle collanine ossidate, negli anelli orbi dalle marcassiti, nella girandola dei tanti auguri, delle congratulazioni per i traguardi tagliati, su cartoncini pastello.
Era piccolo, non serviva un posto speciale: lo potevi conservare intatto, ancora scontrinato o perdere, accusando la fretta, quella tasca bucata, il trasloco imminente. Era uno spillo, una briciola, la parte di un niente.
La colpa, la vertigine, l’assenza, il rimpianto.
Il lievissimo, minuscolo bagaglio dell’ex – presente.