Senza filtro.
Alta protezione.
Pelli sensibili.
Speciali anticellulite.
Idratanti.
Autoabbronzanti.
Balsami solari. Fluidi solari. Oli solari. Creme solari. Latti solari.
Daisy aveva disposto davanti a sé la serie colorata di bottigliette, spray, tubetti, lungo una L ideale. La rimirava neanche fosse una composizione di Morandi, con palese insoddisfazione.
«Niente, non servono a niente. Il Sole è così freddo che non riflette nemmeno la mia ombra».
Sbirciò verso Helen. Ma la sorella era occupata a pubblicare su Snapchat un videoselfie girato in super slow motion a 32 fotogrammi al secondo. Mantenere la leadership fra le influencer del fashion è un impegno a tempo pieno.
«Senza la tua ombra non potresti nemmeno vedere te stessa» disse Jay. «La Luce genera il Buio».
Daisy non rispose. Stava meditando. Dilemma: stendere o no sui capelli l’olio secco Clarins Spray Solaire Huile Embellissante Corps et Cheveux SPF 30, arricchito con elisir nutriente estratto dal Nyamplung (ventotto sesterzi su clarins.ar)?
«Pensaci. Quando si accende una luce in una stanza, si creano ombre, riflesse dalle cose e dagli esseri viventi».
Lei fece segno di aver capito, anche se stava leggendo l’etichetta dove si spiegava che l’estratto dall’albero indonesiano favorisce la comparsa di un’abbronzatura luminosa, rendendo belli pelle e capelli.
«L'ombra ti insegue da quando nasci a quando muori. Puoi dubitare dell'esistenza dell'anima, ma non dell'ombra. In poche parole, essere è avere un’ombra. I filosofi, i poeti, i romanzieri lo sanno da sempre».
Daisy continuava a giocherellare con le bottigliette. Ricominciava con l'atteggiamento indisponente da vampiro energetico? Esibiva indifferenza per abbattere la considerazione che aveva di se stesso? Jay era deciso a non consentirlo.
«Pure la storia della pittura coincide in buona misura con la raffigurazione delle ombre naturali dell’alba e del tramonto; soprannaturali per Goya, surreali per Pontormo, indisciplinate per Picasso, radiose per Balla. Spirituali, per Caravaggio. Per non parlare delle ombre dei notturni, che prevalgono sulla luce. Oppure quelle che la valorizzano, come ne La veduta di Delft di Vermeer, descritta da Proust. Ci sono persino le ombre colorate, inventate da Leon Battista Alberti, anche se saranno i Neoimpressionisti a celebrarne il trionfo, i Seurat e i Signac».
«Ho capito. Ex Tenebris, Lux; e viceversa» disse Daisy con una voce sospirosa e annoiata. Al netto della forte intonazione slava, quella di una diva hollywoodiana Anni Cinquanta alle prese con un fan particolarmente seccante. La ragazza allungò le mani su una maschera idratante. Svitò il tappino, premette il tubetto e cominciò a spalmarsi un blob gelatinoso sulla faccia. Messaggio chiaro e forte: bene, bravo, ma non bis, grazie. Lui non se ne dette per inteso.
«La questione, Daisy, è: quando torna il buio, non c’è più niente o gli enti restano in qualche luogo pronti a manifestare il loro essere eterni?».
Jay formulò il dubbio ontologico in modo volutamente complesso, per vendicarsi dell'indifferenza che Daisy ostentava davanti a temi che per lui erano fondamentali. La solita storia: gli uomini vengono da Marte e le donne stanno su Venere. A guardarsi allo specchio, pensò – omettendo di considerare il proprio narcisismo.
Fu allora che lei colpì in contropiede, per usare la banale metafora ispirata al gioco più caro a Jay (indefesso organizzatore di tornei di calcetto fra gli alcolizzati della Fortezza Bastiani). «Sì, è questa la domanda cruciale. Tanto più qui, in questa Spiaggia Iperurania, l’unico luogo dove le cose possono sfuggire alla nuda Verità. Per colpa degli Artisti Dannati. Dobbiamo trovarne uno, voglio capire come riescono a generare quelle Pure Idee che la tengono nascosta» disse Daisy, in apparenza ancora sovrappensiero. Di certo, intanto contemplava la possibilità di cospargere il corpo con una mousse al carotene, licopene e vitamina C prodotta da Campbell.
«La nuda Verità…» ripeté Jay, colto di sorpresa.
Per un attimo Daisy smise di occuparsi delle creme. Dispose lo schienale dello sdraino a mezza altezza e si sistemò gli occhiali da sole con lenti esagonali a specchio di Dior. «Nel regno della nuda Verità non ci sono cose o esseri umani, things o human beings in dialetto ariminense, ma solo ings: interazioni tra flussi di energia, atomi vuoti, pezzi di Nulla vorticanti in una cosmica desolazione. Le “cose” non esistono, ci sono solo eventi: contemporanei, impermanenti, che accadono sotto un orizzonte ubiquo».
«Le cose non esistono? In che senso?». Jay era spiazzato.
«Uff...!». Lei fece una pausa, come se non fosse certa che valesse la pena di andare avanti. Poi, con una punta di rassegnazione, si decise a proseguire: «Gli Artisti Dannati hanno una fissazione per la luce e l’ombra, sostieni. Giusto, ma da cosa è motivata? Nonno Emilio me lo ha spiegato quando ancora frequentavo la scoala elementara del mio paese, Sighișoara, in Romania. Ogni sera mi mostrava delle riproduzioni di quadri famosi. Dalle invenzioni di Piranesi alle scale senza fine di Escher, fino al più artificioso iperrealismo-irreale del digitale. Guarda bene, diceva, cosa vedi, fetiță? Provavo a descrivere quelle immagini oggettivamente, ma lui mi dimostrava che c'era sempre un modo diverso di interpretarle. Dove vuole arrivare, mi chiedevo? Finché ho capito: l’arte occidentale si è manifestata attraverso una successione continua di illusioni ottiche. Che ha radici antiche: negli affreschi pompeiani il cavolo verza, brillante di rugiada, a un’analisi più attenta si rivela una zuppiera di porcellana. Un inganno plurimillenario per tenere nascosta l’ovvia realtà dei fatti: l’Essere è il Nulla. Dietro o dentro all’apparenza di quello che vediamo non c’è altro».
Tacque, senza preoccuparsi di verificare se Jay avesse compreso la lezione. Tornò alle pomate. Da una parte dispose i solari contenenti particelle nanometriche di zinco e titanio, dall’altra quelli con assorbenti chimici UV tradizionali.
Lui rimase di sasso. Daisy sosteneva di essere una semplice copista, con la sorella non parlava che di fitness, borsette e vestiti; eppure, messa sotto pressione, esprimeva un punto di vista profondo sull'universo, la vita e tutto quanto. Si sentiva punto nel suo orgoglio maschile: superato il momento di stupore, riprese la discussione, niente affatto intenzionato a mollare la presa.
«Se così fosse, la comunicazione sarebbe impossibile. Torneremmo a Gorgia: “L’Essere non è. Se anche fosse, non sarebbe conoscibile. Se anche fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile”. Anzi, alla più radicale concezione buddista, per la quale “ciò che esprime il linguaggio non esiste”. In queste condizioni non potremmo conversare, tantomeno capirci».
Daisy sospirò di nuovo, come se stesse parlando con un bambino. Non molto sveglio. Appoggiò su un tavolino lo speciale adesivo trasparente con pigmenti fotosensibili che cambiano colore se esposti ai raggi UV di La Roche (in omaggio con l’acquisto di un solare La Roche-Posay, in farmacia). «È un cuta acul in carul cu fân, si dice dalle mie parti, cercare l’ago in un pagliaio. Hai presente il romanzo di Dick Tempo fuor di sesto? Sai, quello a cui si è ispirato il film The Truman Show».
«Ma per chi mi hai preso? Ho letto tutto quello che ha scritto!».
L'espressione di lei fu più esplicita di qualsiasi risposta verbale. Autostima di Jay: colpita e affondata. Non che fosse una corazzata.
«Va beh. Nel libro e nel film si realizza l’idea che il mondo è un teatro. Il titolo del romanzo è una citazione dell’Amleto. Dove troviamo il famoso dialogo di Polonio con il principe che inizia: “Parole, parole, parole”. Amleto continua sfruttando l’ambiguità del linguaggio, usando i vocaboli in un senso che l’interlocutore fraintende (“pescivendolo” per “ruffiano”, eccetera). Polonio intuisce che “c’è un metodo in questa follia”. Ma, poiché il metodo non è condiviso, non c’è comunicazione» continuò lei, a scanso di equivoci.
Daisy non si era ancora data il solare ad alta protezione Tattoo Defender Sunny Side, con materie prime selezionate per la loro efficacia sulle pelli tatuate. Si spalmò una patina del cosmetico su ogni decorazione che aveva sul corpo, mentre concludeva: «Il linguaggio è impreciso, oscuro. Per forza: rimanda a qualcosa che è inesistente. Per questo sono così importanti la beauty culture, i make-up, il cool: le uniche realtà che abbiano una qualche sostanza, per quanto… umbratile». Fece una risatina. «Pensare che dietro le parole ci sia qualcosa di più solido è una chimera disperata. Che questo Essere solido si sostanzi poi in Idee è una plateale contraddizione. Sotto questo aspetto, bisogna ammettere che quegli Artisti Dannati sono illusionisti eccezionali».
«Ma la coolness, i trend, la moda di cui parli in continuazione: sono Idee, o sbaglio?».
Nella discussione s’intromise Helen, che, finito di trafficare con l'Iphone12, aveva sentito le ultime parole di Jay. Sarà stato per l'aria che spirava su quella Spiaggia Iperurania, ma le chiacchiere dei tre giovani avevano preso il taglio di un simposio filosofico. Del resto, i primi turbamenti metafisici non sono diversi da quelli del sesso. Gli uni e gli altri corrispondono al destarsi di un bisogno naturale fin lì ignoto. L’origine del mondo è la curiosità dell'infanzia. "Perché" è la domanda chiave. Più tardi si ragiona della sua natura. "Come" esiste ("se" esiste)?
«Sì, caro, ma sono idee senza parole, idee con la minuscola: idee non disponibili a lasciarsi afferrare. Idee cui si addice solo un gesto rituale. Come quello delle bad girl di Burberry – erano nell’ultimo video che ho postato su YouTube – molto punk e ribelli in scarpe bebè nere e microabito bustier kaki, che su passarelle luminescenti abbracciano giovani uomini in doppiopetto chiaro e la maglia-seconda-pelle con stampata la scritta “Chi ha ucciso Bambi?”. Già, caro, chi l’ha ucciso? Sono stati gli Artisti Dannati, con la pretesa di esprimere l’essenza del cerbiatto sotto forma di immagini, musica, installazioni. Di rigettare il fatto che “Bambi” sia solo una parola (con la minuscola, di nuovo!)».
«L’arte può avere un’unica funzione: produrre oggetti di consumo, da usare e da buttare via in attesa di un nuovo mondo nel quale l’uomo si è liberato di tutto» ribadì Daisy, afferrando un vasetto di Savage Life Hydratant Plus (con malva, haberlea e liquido organico prodotto da gonadi di scimpanzé, nutre e riequilibra la pelle).
«Anche della propria coscienza?». Le ragazze non risposero: sembrava non avessero colto la battuta. O non conoscessero il significato della parola “coscienza”.
Jay cominciò a intuire il perché di tutte le chiacchiere di Daisy ed Helen. Era un modo per contrastare gli Artisti Dannati: parole senza idee contro Idee che si esprimono in Parole e in Immagini, Note, Emozioni. Le loro ciarle sembravano fatte a casaccio, ma erano il frutto di una strategia, occultata dalla svagatezza. Ebbe il presentimento di una macchinazione.
Sulla nave dei Pirati, il Capitano aveva appeso in cabina una mappa medioevale cinese. Gli aveva indicato un geroglifico miniato sul rettangolo di seta, e, fra una vodka al mandarino e l’altra, aveva detto: «Secondo un saggio neoconfuciano del XII secolo, le immagini (tu) sono i fili della trama e le parole scritte (shu) sono l’ordito. Vedere la scrittura senza l’immagine è come sentire lo sciabordio delle onde sui fianchi di una nave fantasma; vedere l’immagine senza lo scritto è come guardare una balena sfiatante, ma non sentire il suono dell’aria che fuoriesce dal foro sulla testa. Ogni Parola-Immagine descrive un luogo della mappa che ne identifica uno fisico. Luoghi, immagini e parole sono interconnessi. La realtà è l’insieme di queste relazioni».
L'episodio era antecedente alla depressione che aveva colpito il Capitano, minandone la Weltanschauung solidamente realista – tanto che stava ripiegando sul nichilismo buddista. Il flashback tuttavia spinse Jay a tentare un ultimo argomento. «Se un leone potesse parlare, non lo comprenderemmo, afferma Wittgenstein. Il linguaggio di un leone esprimerebbe il suo essere leone, le sue parole sarebbero per noi incomprensibili. Ma, persino nell'ipotesi di un dialogo fra animali, il segno linguistico non potrebbe essere arbitrario. Rompendo con la cosa significata, sopprimerebbe la cosa stessa e in ultima analisi il soggetto che ne parla. Magritte lo ha messo in luce in molti quadri».
Helen fece una faccia schifata: «Di tutti gli Artisti Dannati, quello è proprio uno dei peggiori!».
«Jeff Koons, lui sì che merita i nostri like». La nota incongrua, all’apparenza, di Daisy fu per Jay illuminante. Jeff Koons. Il sacerdote della levigatezza e del banale, per il quale ogni negatività va eliminata. La negatività della conoscenza difficile da acquisire, dell’incomprensibilità del diverso, dell’erotismo sudicio. E del linguaggio.
«Quindi fa bene Alice a chiedere ad Humpty Dumpty: “chi è il padrone del linguaggio?”».
Daisy eluse la domanda: «Stai attento a non scottarti, Jay, prova questo». Gli passò una confezione di Korff Sun Secret, che salvaguarda l’epidermide con il gel di aloe vera e pantenolo (da ventisei sesterzi, in farmacia). Lui però non si fece distrarre.
«Il linguaggio funziona perché è riempito di un senso condiviso, che risiede nelle cose e nelle persone con cui ci relazioniamo. È la loro Verità. A volte nascosta in superficie, a volte in profondità – ma c’è, esiste. Altrimenti tutto rimane privo di significato. Ancor più dis-locato degli alberi di quella poesia di Emily Dickinson. Aspetta, com’era…».
Si alzò in piedi e recitò:
«Quattro Alberi – in un Campo solitario –
Senza Disegno
O Ordine, o Apparente Azione –
Regnano.
Il Sole – al Mattino li incontra –
E il Vento –
Vicino più prossimo – non hanno –
Che Dio.
Il Campo dà loro – Spazio –
Essi – a Lui – l’Attenzione di un Passante –
Di un’Ombra, o di uno Scoiattolo, o talvolta –
Di un Ragazzo.
Quale Compito sia il Loro nell’Ordine Naturale –
Quale Piano
Essi individualmente – ritardino – o favoriscano –
Ignoto».