“Mi racconti.”
“Dunque, in quella stanza ho aspettato per dieci minuti e trentasei secondi. Lo so bene perché avevo davanti un orologio a pendolo e ho contato ogni singola oscillazione. Lo faccio sempre quando sto per agitarmi.”
“Si spieghi meglio.”
“Quando sono nervoso e la mia mente si fissa su un pensiero, magari non ben definito ma per certo fastidioso, il mio corpo reagisce male. Faccio cose tipo ansimare, sudare e cercare una via d’uscita. Da cosa non saprei. Dalla situazione immagino. Ma con il tempo ho trovato una strategia. Non che funzioni sempre ma direi quasi. Devo concentrarmi nel fare qualcosa.
“Ad esempio?”
“Contare mi aiuta moltissimo. Poco importa cosa. Le piastrelle nere della sala d’attesa del suo studio, i bottoni sulle giacche delle persone che sono in metro con me, le automobili che passano davanti alla fermata dell’autobus.”
“Poi le chiederò quante sono le piastrelle nere della mia sala d’attesa, sono curioso. Mi scusi, vada pure avanti.”
“La matematica è sempre stata la mia salvezza. Non ti delude mai. Non è opinabile, è affidabile, precisa, senza fronzoli. Ti dice le cose come sono, belle o brutte.
È grazie alla matematica che sapevo ci sarebbe stata un’alta probabilità di rovesci tra le cinque e le sei e, quindi, ho portato un ombrello abbastanza grande per entrambi. Prevedere le cose tramite i numeri è anche il mio lavoro.
Pensi che quando avevo quattro anni passavo le ore a mettere in fila le macchinine colorate che mi regalava mio padre. Prima una, poi un’altra, poi, accanto, due in verticale, poi ancora tre, cinque e così via. Con il tempo ho imparato a fare una sequenza di Fibonacci impeccabile.
In effetti chissà, forse avrei potuto anche fare il parcheggiatore.
Comunque, era la prima volta che entravo in una scuola di danza. E nessun luogo poteva essere più lontano dal mio mondo come quello. Apprezzo l’opera ma il balletto proprio no.
Mi piace anche la puntualità. Ed erano passati 10 minuti e trentasei secondi, che considerando un breve anticipo di 3 minuti e trenta secondi fanno 7 minuti e sei secondi di ritardo. Non proprio un buon inizio.
Sapevo che era un errore. Ma lei aveva tanto insistito nei giorni precedenti. "Solo un caffè", mi aveva detto.
Che poi io non do mai confidenza alle persone, soprattutto alla fermata dell’autobus dove vorrei solo contare le auto che passano in pace.
Mi chiedevo, chissà di cosa avremmo potuto parlare.
Comunque dopo dieci minuti e trentasei secondi è arrivata. Si è scusata, la lezione era andata per le lunghe.
“E cosa ha pensato quando l’ha vista fuori dal solito contesto?”
“Che era proprio bella. Era spettinata e questo, in una normale situazione, mi avrebbe infastidito parecchio, invece mi è sembrato che la rendesse ancora più bella. Lo so, ho già detto “bella” ma qualsiasi altro aggettivo non calza: affascinante, graziosa, meravigliosa. No, non rendono, era semplicemente bella.
Insomma siamo andati a berci questo caffè. Non mi piace parlare di me ma lei sembrava davvero interessata. Il mio lavoro, la mia casa, la mia famiglia. Mi stavo agitando, ansimavo ed ero sudato ma nessuna voglia di andarmene. Volevo restare incollato a quella sedia ad ascoltare delle lezioni di danza, del lavoro a maglia, del piccolo appartamento all’ultimo piano con il parquet perché lei adora il parquet, il gelato al limone e i libri di Jane Austen. Avrei avuto tanto bisogno che, non so, Riemann in persona mi spiegasse cosa stesse capitando.
Lei sa chi è Riemann, vero?”
“Ho letto qualcosa di recente ma torniamo a noi.”
“Ok, così ho capito che dovevo uscirne prima di perdere il controllo. E allora l’ho guardata e le ho detto: “Grazie, è stato un pomeriggio piacevole ma devo essere brutalmente onesto, non credo che tra noi possa nascere un’amicizia, capirà anche lei, siamo troppo diversi. Non ci sarebbe nessun interesse da condividere. Io sono un matematico, innamorato dell’ordine e abbastanza introverso, lei, signorina, è un’artista, allegra ed espansiva. A me piacciono i puzzle, a lei i programmi di cucina. Io preferisco la prevedibilità, lei le sorprese. Io, per lavoro, studio modelli dei parametri di rischio nel settore bancario, lei è, ecco, una ballerina. Un’incantevole ballerina. Io penso tutto il giorno ai numeri, lei mi dica, onestamente, a cosa pensa mentre danza leggera come un uccellino? Alla neve che cade silenziosa? Al vento tra gli alberi? Alla brezza del mare?”
Mi ha guardato e mi ha sorriso in un modo che, mi creda, non mi sarebbe bastato contare tutte le tazzine del bar per calmarmi.
“E cosa le ha risposto?”
“Conto i passi.”