Vedete, quello ero io.
Preso di spalle, chiuso fuori dal portone rosso del mio condominio. Ingobbito, sprofondato nel mio redingote, con la pioggia che infuriava di sbieco infradiciandomi da capo a piè. Svelto infilai la mano nella tasca destra in cerca delle chiavi.
Mi accolse un’orripilante sorpresa.
Con disgusto inzuppai la mano in un caldo e denso muco, poi la feci tornare piano piano a galla e un fiotto giallo, raggrumato, mi scivolò via dalle dita e colò copioso a terra mischiandosi con la pioggia.
Mi avvicinai, esitando, la mano moscia alle narici. L’odore era nauseabondo. Come di alito di primo mattino, uova marce e sudore.
Sentii che dentro la tasca qualcosa gorgheggiava e s’ingorgava, cercando di emergere. Non volevo guardare ma lo feci lo stesso. Il fluido bolliva fuori e un tentacolo simile a un grasso budello si arrampicava appiccicoso, strisciando flaccido sino alla mia gola nuda. Mi accarezzava con le ventose, paziente, e mi rantolava addosso sibilando oscuro il mio nome.
Mi si legò al collo e la sua presa, dapprima gentile, si fece violenta e mi strozzò. Uno strappo brusco quasi mi spezzò il collo, il tentacolo stava cercando di trascinarmi nell’inferno di catarro della mia tasca. Cercai di raddrizzare la schiena facendo forza nel verso opposto ma il tentacolo mi risucchiò veemente. Con la spinta mi caddero gli occhiali a terra e una lente si scheggiò. La schiena crocchiò e si piegò di lato, qualcosa dentro di me si spaccò con un rumore secco. Le ero vicino, sentivo l’odore malato di quella creatura. La tasca si allargò come una bocca bavosa e sdentata dalla quale venni masticato e ingoiato poco per volta. Chiusi gli occhi, il liquido mi entrò nel naso. Bruciava come cloro.
Un eternità dopo, ripresi conoscenza. Stavo galleggiando nel vuoto sconfinato della mia tasca. Nudo.
Nuotai verso il ciglio dell’abisso là dove le onde nere schiumavano silenziose. Sulla distanza, si intravedeva, imponente, il tronco luminoso di una sequoia, che s’innalzava a perdita d’occhio nello spazio profondo.
Affondai a passi pesanti nella materia moccicosa del cosmo, verso la sequoia. Arrivato alle radici mi sentii sprofondare di fronte alla sua immensità e tremai per ciò che vidi. Il tronco pulsava di una luce viva che dava sfumature alle tenebre e in quella luce fluttuava una moltitudine di esseri umani esanimi. Spinti e danzanti in un’orbita infinita. Li osservai a lungo. Erano nudi, senza sesso. Poi decisi di voltare le spalle, ma la gravità di quel fascio di luce mi attirò disperata a sé, e io caddi verso l’alto in un oblio squilibrato. Danzai anch’io in quel vortice.
Poi. Finalmente.
Pescai le chiavi.
La pioggia batteva sull’asfalto ingrossando un rivoletto che correva a precipizio dentro un tombino. C’era solo quell’oggetto nel vuoto sconfinato della mia tasca.
Un mazzo di chiavi avvolto in un fazzoletto di stoffa impregnato.