- Ma davvero non ti vergogni?
- ...
- Rispondi!
- ...
- E allora?
- No.
- No?
- Non mi vergogno.
- Sei in punizione!
- Che novità!
- Cosa hai detto?
- Niente.
La voce di mio padre risuonò dal fondo del corridoio:
- Cosa succede?
- Niente!- ruggì la mamma.
Mia madre ha sempre avuto un suo metodo per educarci. Quando si arrabbia ci tratta malissimo ma non vuole che altri- nemmeno mio padre- si intromettano. La preda è sua.
Passavamo l'estate dai nonni, in campagna. I nostri genitori ci raggiungevano nel fine settimana, e mia madre si sentiva in dovere di recuperare il tempo perduto, ovvero di tiranneggiarci senza posa. Magari era carina, ci voleva bene - niente da dire- però voleva comandare.
Quando stavamo con i nonni filava tutto liscio: potevamo fare ciò che volevamo e, di conseguenza, non avevamo alcun motivo di attrito. Bastava rispettare poche regole basilari e avevamo carta bianca. Le cose cambiavano quando arrivavano i miei. Il sabato e la domenica non erano giorni di vacanza.
Mio padre si chiudeva nello studio a lavorare; mamma, invece, si incaricava di sollevare la nonna dalla nostra cura. Nonno andava a pesca. Una volta gli chiesi perché andasse sempre di sabato e domenica. Mi rispose che c'erano più pesci.
Quel giorno mamma era appena arrivata ed aveva scoperto una ranocchia nel mio letto.
Sì, una ranocchia. A me le ranocchie fanno sinceramente schifo. L'idea che avessi potuto prenderne una per metterla nel mio letto mi sembrava la cosa più assurda che avessi mai sentito dire, però ero l'unica indiziata. Mia sorella era esclusa. Aveva tre anni, a quel tempo, e ciò sembrava sollevarla da qualsiasi sospetto. Ero nei guai. Mamma aveva uno sguardo che non prometteva niente di buono.
Furono cambiate le lenzuola, obiettivamente sporche (non si ha idea di quanto sia sporca una rana finché non ti entra nel letto e si strofina alle tue lenzuola) ed io fui condannata a stare senza cena.
Babbo, dato il momento, aveva addirittura abbandonato il lavoro per stare con me.
Fu la prima di altre, significative occasioni in cui la veranda assistette alle nostre confabulazioni notturne.
Dopo cena ci sedemmo sulla veranda. In casa mamma faceva furoreggiava in casa; nonno e Betta erano fuori con il cane.
- Anna, sei sicura di non saperne niente?
- Ma ti pare?!
- Allora chi è stato?
- Non lo so ma a me le rane fanno schifo.
- Sì?
- Sì, da sempre.
- Non stiamo molto insieme e certe cose di voi non le so.
- Parecchie cose, se è per quello...
- ...cosa?
- Niente, niente.
- Le mie bimbe. Vi conosco così poco.
- Eppure siamo tipi interessanti; soprattutto io sono uno schianto.
Rispose al mio occhiolino con un buffetto.
Mentre stavamo lì un'ombra destò la mia attenzione. Mi girai e toccai il ginocchio di babbo, facendogli cenno di tacere.
Una ranocchietta (identica a quella ritrovata nel letto, gettata dalnonno oltre il giardino) passeggiava sul pavimento della veranda. Si fermò sotto la finestra di camera , poi all'improvviso spiccò un balzo e si ritrovò sul davanzale.
Rimanemmo senza parole. Guardavamo come se avessimo visto un marziano appena atterrato, poi iniziammo ad urlare, verso la cucina:
- Correte, correte! Presto!
Mamma e nonna si precipitarono, temendo chissà cosa. A forza di suoni gutturali e indicazioni con il dito, mostrammo loro la finestra, imponendo un silenzio che eravamo i soli a non rispettare. Mamma sgranò gli occhi e rimase assorta a guardare l'animale, che si girò e con un altro, formidabile balzo, saltò sul mio letto. Ci affacciammo per osservare meglio. La rana, con calma, si avvicinò al cuscino e scivolò sotto le coperte.
Rimanemmo attoniti.
Mamma ruppe il silenzio:
- Anna, ma allora...
- Sì, allora!
- Ma io credevo...
- Credevi?! Te l'avevo detto che le rane mi fanno schifo!
- Sì, ma era nel tuo letto...
Me ne andai stizzita.
Sentii arrivare nonno e Betta, che divertì moltissimo. Anche nonno rideva e prendeva in giro la mamma, che dovette accettare in silenzio.
Salii sulla casetta sull'albero e scesi solo a tarda notte.
La rana non c'era, e le lenzuola erano pulite. Quasi mi dispiacque.
La mattina, mi attendeva una colazione sontuosa.
Dopo un po' che mangiavo entrò mamma. Mi abbracciò. La lasciai fare, poi ricambiai.
- La mia bambina!- esclamò- potrai mai perdonarmi?
- Ho alternative?
- E dai!
- Scherzo, però non è bello.
- Lo so, ma come potevo immaginare che entrasse da sola sotto le lenzuola...
- A me fa schifo solo vederle, figuriamoci infilarle nel letto!
- Ma io non lo sapevo.
- Appunto.
La rana entrò a far parte della famiglia. La sera passeggiava sulla veranda. Alla finestra fu messa una zanzariera. Non dico che facemmo amicizia ma imparammo a convivere. La sera saltellava tra noi. Betta ci parlava e sosteneva che lei rispondesse. Non so. Per guardare, la guardava.
C'è voluta una rana per avere un po' di rispetto. Ho sempre pensato che fosse un personaggio fantastico travestito da rana, mandato per dare una bella lezione ai miei.
A proposito, la chiamammo Emma. La rana Emma.