Nel cuore delle Marche, su una spiaggia desolata a Senigallia, la versione seienne di me, con le braccia strette al petto e la bocca increspata dal broncio, sta seduta accanto alla cugina mora e alla sorella bionda sopra una panca di plastica, e dà le spalle a un mare settembrino che, a vederlo così lugubre e incolore, non invita certo a farci il bagno. Nemmeno il cielo ha un’aria felice: è appesantito dall’assenza di luce e, se non fosse per la linea più scura dell’orizzonte, rischierebbe di affogare dentro l’acqua.
Le tre bambine sono rivolte verso il fotografo ma, invece di guardarlo, attendono il calare del vento che spinge fuori rotta i gabbiani e sparpaglia aghi di pino sulla sabbia.
Di quel giorno, la versione seienne di me mi ha lasciato soltanto ricordi incantevoli. Anche se ho sempre finto di crederci, so benissimo che non c’è niente di vero: la scultura della sirena fatta con papà non è mai esistita, e nemmeno il torneo di pallavolo, la nuotata senza braccioli fino alle boe e la gita in canoa di due ore. Se penso alla freddezza con cui queste memorie sono state organizzate e infarcite di dettagli, mi viene la pelle d’oca. Soprattutto perché è stata lei a farlo. Quella sera stessa, sdraiandosi sul letto, deve aver cominciato a cancellare dalla sua mente tutte le brutture vissute durante la giornata, per poi sostituirle con stralci di racconti sentiti da qualche compagno di scuola. Osservando da vicino la foto sciupata che ho tra le mani - dove infatti, di incantevole, non c’è proprio nulla - un particolare mi colpisce: mentre la sorella, fasciata da una maglietta rosa e bianca cerca di ripulirsi la faccia dalle ciocche sfuggite all’elastico, e la cugina, impegnata in un suo gioco immaginario stringe le labbra e tira indietro le spalle, la versione seienne di me, nascosta da una frangia troppo lunga, si guarda intorno con uno strano luccichio negli occhi. La ragione dell’inquietudine che prova, ora le è chiara: quel vento ostinato e sfiancante che non si preoccupa dei fastidi che genera, che non si placa nonostante le suppliche, che evita gli abbracci ma ferisce le narici col suo odore di alghe putrefatte, somiglia tanto a quello che imperversa da sempre nella sua vita, tra i suoi genitori, contro le pareti muffite della sua famiglia. Trasformare la realtà le sembra l’unica soluzione possibile, ma, per quanto tenti di sottrarsi, non può sfuggire alle folate improvvise. Per quanto cerchi di scaldarsi, il freddo, ormai, ce l’ha nelle ossa.