Stavano entrambi con l’orecchio appoggiato a un pannello della porta: lui a sinistra, lei a destra.
Non volava una mosca, zitti e silenzio. Neanche il cane abbaiava e li guardava, fermo sulle quattro zampe e la testa ciondoloni, con un’aria che un umano avrebbe detto ‘stupita’; che fosse un nuovo gioco?
L’unico rumore veniva dalla strada, dove una cinquecento col motore truccato correva in quello stretto budello che faceva da cassa di risonanza, nel silenzio addormentato di un pomeriggio d’estate.
Lui era rivolto verso di lei che lo fissava, terrorizzata.
Dall’altra parte, a pochi centimetri di distanza, l’uomo suonava con insistenza il campanello: una, due, tre volte. Non voleva andarsene. Che sentisse, in qualche strano modo, che oltre il sottile spessore del legno ci fosse un orecchio e appiccicato a esso una testa e poi un corpo; e che tutto l’insieme stesse fermo, quasi non respirando, nel timore di farsi sentire? Anzi: che sapesse che i corpi erano due?
L’uomo sul pianerottolo sbuffò. Suonò ancora una volta, ma ormai pareva rassegnato. Si girò e cominciò a scendere le scale di pietra. In breve raggiunse l’androne, aprì la porta verso l’esterno e si immerse nella calura estiva.
“E’ sceso? Se n’è andato?” chiese lei.
“Sì, penso di sì. Però vai sul balcone e guarda giù. Metti che ci abbia imbrogliato…mi raccomando, stai attenta, non farti vedere”.
Sporgendosi appena oltre la ringhiera, poteva vedere la calotta del cappello che si muoveva: sotto doveva esserci lui, quell’uomo, quell’antipatico!
A pensarci bene, l’unica sua colpa era quella di essere l’amministratore del condominio: un omino piccolo, magro e sparuto. Se non fosse stato quel che era, forse gli avrebbe fatto anche compassione.
Il mese prima li aveva buggerati ben bene. O forse loro erano stati troppo ingenui. Sta di fatto che gli avevano aperto e lui si era buttato nel varco della porta.
Quella sera avevano dovuto pagarlo; l’unica soddisfazione era venuta dal cane: con la scusa di fargli le feste, si era alzato sorridente sulle zampe di dietro per infilare, veloce-veloce, la lingua nel bicchiere che il nemico teneva in mano, pieno di birra fresca. Ci fu un attimo di silenzio. A stento i due ospiti si trattenevano dal ridere. Dal canto suo, l’amministratore si comportò dignitosamente, come se nulla fosse.
Gli veniva in mente – ma questo molti anni dopo – quella volta, in mezzo alla vigna.
Avevano lasciato la città per la campagna. Stavano godendosi il pomeriggio dopo pranzo, nell’attesa di rimettersi a lavorare alla loro casa, come degli schiavi.
Un pullmino aveva costeggiato il loro campo, aveva girato a sinistra e si stava avvicinando.
“Hai visto?” chiedeva lui
“Sì, chi sarà?”
“E’ l’impiegato della Luce, scappiamo, presto!”.
Si avviarono veloci e curvi, in mezzo alla vigna e si accucciarono.
I pampini verdi facevano una tenera ombra, sul terreno pietroso; tutto era immobile.
Stonava solo quel grosso gallo bianco, con le ali aperte minacciose e con le penne arruffate. Che mai voleva?
Inutilmente cercarono di scacciarlo: quello era suo territorio, erano loro gli intrusi!
Stettero in silenzio, stringendosi le mani l’un l’altra.
Dopo un po’ il furgoncino se ne andò. Appresero dal vicino che si trattava di un venditore porta a porta: la sua specialità era l’olio della riviera.
Erano due ladri e piccoli farabutti? Certo, il giudizio non può che essere negativo. Ma, alle volte, non sappiamo tutto delle persone intorno a noi.