Ti hanno mai detto: ‘Fattene una ragione!’?
Non è mai una frase gentile, serve a tagliare corto, a non dare spiegazioni, a scappare: é una frase vigliacca, come chi la pronuncia. Tre parole che suggeriscono e invitano bruscamente a usare la testa, quando invece c’è tutt’altro in ballo.
Se poi le tre parole sono precedute da altre due come queste: ‘E’ finita’, allora davvero hanno l’effetto deflagrante di una bomba, di uno schiaffo che incide la carne come un bisturi.
Sanguini, dopo. Copiosamente. Niente serve a suturarti: tamponi; punti; bende. Niente. Nessun rimedio, se non il tempo, forse. E se supererai probabili infezioni, e riuscirai a cicatrizzare, resterai irrimediabilmente mutilato.
Eppure.
Eppure esiste un luogo al mondo che ripara la membrana sottile dell’anima, lesionata. E’ lì che sono diretta, in viaggio verso la guarigione.
Come si smette di amare? Non lo so. Ma quando il corto circuito dei pensieri è sul punto di farmi impazzire, mi immergo nell’acqua di questo mare caldo, paterno, avvolgente; confondo le mie lacrime con il suo sale, e nel trattenere il respiro, vado a fondo, fin dove ascolto solo il silenzio. Poi riemergo, come purificata, e ad accogliermi trovo la luce ocra, abbagliante, di un tramonto lunghissimo, caldo anch’esso, consolatore.
Sono grata alla vita per avermi condotta, anni fa, nell’estremo sud, nel tacco di questo Paese dalla forma buffa di stivale.
Prima di arrivare alle dune selvagge che incontrano il turchese del mare Jonio, passo attraverso gli ulivi sacri, che abbraccio, poi incontro gli eucalipti, e infine accarezzo i cespugli di rosmarino, lavanda, salvia, spalancando le narici per stordirmi con i profumi forti della macchia mediterranea, con la speranza di dimenticare.
In fondo al sentiero, dove sopravvivono solo scheletri di arbusti e qualche fiore, bianco, fucsia, giallo, resistente alla violenza del caldo e del sole, mi aspetta Maretta, il gozzo che mi cullerà come una naufraga portata dallo Scirocco, il vento rovente dell’estate.
Questa terra, alla quale sento di appartenere, che mi ha riconosciuto, amato e protetto, e dove sono stata molto felice, questa terra in cui piango sovente per la bellezza che sprigiona e davanti alla quale mi incanto, io la ringrazio, perché la sua energia sottile e potente al tempo stesso mi ha regalato uno sguardo nuovo sull’esistenza, e sulle sue infinite possibilità, e ha reso dolce, meno pungente, anche il dolore lacerante di un amore finito.
Ricomincio da qui.