Il tempo di rigirarmi verso di lui e lo ritrovai nudo, i suoi vestiti sparpagliati sulla sabbia, con il vento che già aveva preso a giocarci, tentando di sotterrarli. Aveva le gambe tozze e pelose, abbronzatissime. I piedi rozzi mai curati. Il suo petto naturalmente gonfio era disseminato di pelucchi neri, né lunghi né corti, sparsi qua e la. Le sue spalle erano larghe e glabre, anch'esse colorate di sole. Mi guardò per qualche secondo con uno sguardo nuovo, che non gli avevo ancora visto addosso. Era come se quella nudità fosse una dichiarazione: di resa o di sfida. Mi guardò ancora, come per assicurarsi che stessi guardando a mia volta. Quella pelle, quelle ombre, le linee dritte delle sue gambe, la curva del suo pene venoso. Poi si mise a correre verso il mare, che lo inghiottì in un attimo e lo fece sparire dalla mia vista.
Ci misi un po` a trovare la forza di seguirlo, non mi è mai piaciuto tuffare in mezzo alle onde enormi e temibili. Mai mi ha divertito. Le mie spalle non sono larghe e le mie gambe sono zampe sottili di fenicottero. Venne fuori da un'onda come un enorme tritone, mi guardò ridendo e cominciò a sputarmi l'acqua addosso. Si gonfiava le guance e poi faceva partire gli zampilli.
Pensai che non ero mai stato così felice e così stupido. E che i due fossero sinonimi. Mi misi a nuotare incontro ai cavalloni, così li chiamavamo da bambini io e i miei cugini. Dopo pochi minuti lo vidi sul bagnasciuga. Il vento forte gli muoveva peli e capelli, tremava e non gliene fregava niente. Mi fece cenno di seguirlo.
Non la definirei casa. Era più simile a una stalla. Aveva però porte e finestre, anche se rimanevano sempre spalancate. Passai là dentro cinque giorni.
Con Pietro imparai un alfabeto fino ad allora sconosciuto: era fatto di suoni senza alcun senso compiuto, era fatto soprattutto di silenzi. Il silenzio scandiva il tempo di quelle mura rovinate e sporche di storie. Il silenzio disegnava ogni ruga del suo viso, ogni centimetro delle nostre pelli che si mescolavano e si scambiavano, l'una scoloriva un po` e l'altra prendeva una doratura nuova.
Al sesto giorno mi resi conto che sarei potuto rimanere per sempre. Allora misi le quattro cose che avevo nella mia valigia di cuoio e me ne andai. Lo feci mentre Pietro era col gregge, fuori albeggiava e faceva fresco e gli rubai una camicia di un cotonaccio rozzo e pesante. Non lo avrei mai più rivisto.
Mentre scrivo mi sfioro il ginocchio destro e con le dita ripercorro un piccolo solco, orma indelebile di una caduta dalla quale non mi sarei mai più voluto rialzare.