Parte prima
Per molto tempo mi sono coricato presto la sera. E solo dopo aver bevuto una tazza di camomilla bollente, che mi preparava mamma. Ne versava due tazze, una per me e una per lei, e metteva in ciascuna un cucchiaino di miele. Quando veniva a bussare alla mia camera, mi alzavo e la raggiungevo subito. Il fumo che saliva dalla camomilla mi appannava gli occhi, e solo allora potevo raccontarle quelle cose su cui mi aveva interrogato durante la giornata, ma che non avevo avuto cuore di dirle. Come: Nonna quando le ho portato il pranzo mi ha scambiato per lo zio morto in guerra. Oppure: Ti sei dimenticata dell'affitto, è passato il padrone a dire che siamo in ritardo col pagamento. Tutto questo, però (la camomilla il fumo le parole la pena), succedeva prima che incontrassi un orso nel bosco.
Andavo spesso nel bosco dopo la scuola. C'era una robinia in tutto uguale a quella che qualche anno prima stava fuori dalla nostra vecchia casa. Papà strappava delle foglie e me le porgeva, io le riducevo in tanti pezzi che poi facevo volare come coriandoli. Ero già grande ma papà mi trattava ancora come un bambino; non era riuscito a stare dietro al tempo, ci vedevamo così poco allora. Non faceva che ripetermi di stare attento a questo e a quello, di non andare qua e non andare là. Mamma mi diceva solo: Esco, fa' colazione con nonna poi va' a scuola, buona giornata; e mi stampava un bacio in fronte. Ci aggrappavamo a gesti abitudinari (il miele il bacio le foglie la speranza), per credere di essere una famiglia unita.
Sotto questa robinia nel bosco leggevo Canzone per un orso, un tascabile bianco con lo schizzo di un orso in copertina. Era un libro di poesie d'amore per qualcuno che l'autrice chiamava orso. Certi libri parlano dell'amore senza nominarlo, invece quello diceva amore amore amore sempre sempre sempre, e si capiva cosa voleva dire anche se l'amore è diverso per ognuno. Ecco, la prima volta che vidi l'orso, pensai che fosse proprio quello di cui raccontava il mio libro.
L'orso ballava con un albero e io mi fermai a guardarlo. Non è certo la prima immagine che viene in mente pensando a un orso, un ballo. Avevo di fronte l'incredibile e i miei parametri saltarono tutti insieme dentro di me: quello che avevo imparato fino a quel giorno non sarebbe servito a niente, la mia esperienza pregressa non mi avrebbe guidato nell'azione più opportuna.
L'orso si voltò, doveva avermi sentito, e si avvicinò. Gli occhi erano piccoli, tondi e neri, e mi fissavano senza pudore, come se non sapessero che anche i miei occhi vedevano, che non erano solo due cerchietti verdi in mezzo alle orbite.
Sembrava che l'orso stesse valutando se potesse fare di me uno spuntino. Era già metà pomeriggio e anche a me brontolava lo stomaco. Cercavo di rimanere immobile e zitto, ma il suo sguardo mi infastidiva, era come se scavasse nel mio corpo. Cominciavo a tremare, ma ero deciso a fare in modo che l'orso non se ne accorgesse, allora mi misi a urlare contro il suo muso.
«Basta! La tua pelliccia è buona per l'inverno, ora me la prendo! E il tuo grasso, sai che con 50 grammi del tuo grasso si ottiene luce per due ore?»
«Ragazzino, lasciami solo», disse l'orso.
La sua voce era più triste che minacciosa. Sentii che la mia schiena si incurvava, sotto la sua tristezza.
Finsi di andarmene ma lo tenevo d'occhio da lontano. Si allontanò piano tra gli alberi, si fermò a darsi una grattatina alla schiena contro un tronco, e si infilò in una grotta.
La grotta era pregna di un odore ursino che mi stordiva. Lo sentivo in gola come l'incenso quando andavo a messa, mi pungeva e mi grattava, mi faceva quasi tossire. Era qualcosa di cui non avrei saputo più fare a meno. Allora in quel momento decisi che la grotta buia e umida sarebbe diventata la mia chiesa, e l'orso il mio dio o il mio re.
[entrare in una grotta significa sempre passare da uno stato a un altro]
Il mio re ursino. E io, il suo ragazzino.
Ero consapevole del fatto che mamma riuscisse a leggere cose nei miei occhi che neanche io sapevo di avere dentro. Non potevo presentarmi davanti a lei come al solito, a sorseggiare camomilla dicendo Tutto bene, ma', tutto bene. Dopo cena le dissi che mi sentivo qualche linea di febbre e che mi sarei coricato subito. Non mentivo, non ne ero mai stato capace: il pomeriggio nel bosco mi aveva lasciato una patina di stanchezza mescolata a un'eccitazione nuova che nemmeno il bagno caldo aveva pulito via. L'odore della grotta era nelle mie narici nonostante lo shampoo alla vaniglia. La mia pelle aveva assorbito le vibrazioni di una voce che parlava solo per me. Ero stato toccato da qualcosa di grande e sconosciuto.
Pensavo che nonna fosse l'unica che potesse capirmi, o almeno credermi; viveva continui salti temporali e provvisorie assenze, come se abitasse in una dimensione improbabile tra la fantasia e il ricordo e il desiderio. A volte mi scambiava per il nonno e allora mi rimproverava e mi sistemava il cappotto tirandomelo forte sul collo e spolverando via chi sa che dalle spalle; a volte vedeva in me lo zio morto in guerra che io non avevo mai conosciuto e così mi prendeva una strana inquietudine, come se in quel caso non avessi saputo recitare bene la mia parte. Mi domandavo spesso se il suo non fosse l'unico modo per vivere davvero, con un'intensità superiore ai cinque sensi: era in ogni momento dove il suo cuore voleva essere, come se lo spazio non fosse tangibile e il tempo non fosse una linea continua: era sempre accanto a chi amava perché chi amava abitava il suo cuore.
Andai da nonna perché avevo bisogno di dirlo ad alta voce (un orso sul mio percorso, una confusione come una rivoluzione), di sentirmi mentre lo dicevo, per poi scoprire che forse mi ero sognato tutto.
In casa di nonna c'era profumo di cannella. Lei sedeva in poltrona sotto il suo scialle viola.
«Che vai raccontando? - disse nonna - E cosa vai a fare nel bosco il pomeriggio? Le fiabe non ti hanno insegnato niente?»
«Nonna, le fiabe insegnano ad andarci, nel bosco. Solo così possiamo trovare il nostro destino, o il nostro segreto. Che poi non è che la felicità.»
«Senti, te lo dico io un segreto: scegli bene i tuoi desideri e sii buono.»