Era l’ultima volta e lo sapeva.
Lo sapevano le renne che nella loro onniscienza avevano compreso e stavano zitte, e gli elfi che si erano riuniti nella stanza dei giochi in attesa che il vecchio tornasse.
Sapevano tutti che quello era il punto di non ritorno, se l’aspettavano da secoli e adesso era arrivato.
A dire il vero l’avevano capito nell’attimo in cui la Signora aveva chiuso gli occhi dopo aver posato un bacio pieno di fatica sul naso del vecchio.
Lui aveva ricambiato poggiandole le labbra sulle labbra, ma lei era scivolata indietro sul cuscino con la levità di un velo da sposa trascinato sulla neve.
I suoi grandi occhi verdi si erano offuscati e riempiti come di nebbia, segno che il gelo le aveva invaso il corpo e nemmeno il fiato magico del vecchio, capace di trasformare frustrazione e fatica in un oh-oh-oh giocoso per la gioia di grandi e piccini, sarebbe riuscito a spolverarglielo via dall’anima.
Era morta, finita. Il vecchio aveva tirato su con il naso un paio di volte, poi aveva tossito e provato a dire qualcosa ma non c’era riuscito. E così quella sera aveva indossato gli abiti che lei non aveva fatto in tempo a stirare, stretto la cintura intorno al ventre ampio come una piscina di dolore dove il suo cuore desiderava solo tuffarsi, ma non poteva: era la grande notte.
Gli elfi non riuscivano a smettere di lacrimare, si premevano le mani da nani contro le bocche che non conoscevano età e singhiozzavano, alcuni disegnavano ghirigori con la punta dello stivale sul pavimento, altri – le elfe – stavano invece eseguendo la preghiera che il vecchio aveva loro rivolto: “Truccatela e pettinatela, ravvivatele i capelli e rendeteli vaporosi, picchettatele le guance con i petali delle rose più gonfie di vita che riuscite a trovare e colorategliele come se fosse ad un passo dalla gioia e dal pudore, come quando l’ho conosciuta”. E perché il lavoro delle elfe fosse più facile aveva adagiato sul cuscino, accanto al viso esanime della moglie, un ritratto di quando era ragazzina, e quelle si erano date da fare, anche se le lacrime non smettevano di rigare i loro visi e cadendo sulle gote della Signora distruggevano romanticamente il loro stesso lavoro.
Quando fu sera lei era bellissima. L’avevano vestita col suo abito più bello, sembrava una nuvola in procinto di esplodere in mille arcobaleni, calzava i suoi stivaletti e le mani sapienti delle elfe le avevano disegnato con una rispettosissima pressione anche due piccole fossette ai lati della bocca, così che la Signora sembrava sorridere gentile.
Lui ringraziò tutti e disse che era ora di andare, di preparare la slitta, di regalare alle renne due zollette di zucchero in più e di grattarle dietro le orecchie perché fossero più liete e contente.
Poi tornò in casa a prepararsi, e pochi attimi dopo fu pronto.
La folla di elfi si aprì come una grande V arroventata che scioglie la neve, erano tutti con i berretti in mano e gli occhi rossi.
Il vecchio era maestoso come sempre, ma prima di andare via lasciò che quegli omini e donnine gli si stringessero contro, lo abbracciassero tutti insieme e inzuppassero il bordo di pelliccia del suo vestito di lacrime e parole di cordoglio. Lui carezzò quanti più visi poté, arruffò i capelli ai più inconsolabili e si allontanò lentamente.
Salì sulla slitta e mormorò dolcemente alle renne di partire.
Loro eseguirono, e la slitta si levò in cielo sibilando appena come una forbice che attraversa la seta a bocca aperta.
*
Giunti all’altezza alla quale di solito il viaggio per raggiungere ogni bambino del mondo iniziava, il vecchio non smise di tendere le redini, e così le renne continuarono a salire e salire e salire, fino a quando il mondo sotto di loro non fu che una pallina fatta di terra e di acqua, tutta percorsa da filari di luci e candele notturne.
Poi il vecchio sussurrò “ci siamo”, e quelle semplicemente smisero di salire, fluttuando nell’aria come cavallucci a dondolo animati da un refolo di vento bonario. Le giovani renne si chiesero cosa stesse avvenendo, le più anziane finsero di guardare la piccola aurora boreale che lumeggiava da qualche parte sulla terra, scuotendo la testa per dissimulare una commozione profonda che aveva cominciato a ricamarsi intorno ai loro cuori.
Il vecchio sciolse il nastro intorno al sacco e con la tenerezza di mille madri scostò metri e metri di tulle dentro il cui bozzolo aveva adagiato la Signora.
La tenne tra le braccia come secoli prima, quando per la prima volta avevano varcato la soglia di casa nel primo giorno della loro vita insieme.
“Buon Natale, amore mio” sussurrò.
Poi le poggiò le labbra sulle labbra freddissime, compì un piccolo passo in avanti e non smise di stringersela al petto mentre precipitavano nel buio della notte.