C'era solo deserto. E sabbia. A tutte le ore del giorno mancava l'ombra. Da qualunque parte guardasse.
La strana costruzione era assemblata con qualunque cosa le fosse tornata utile: a fianco un caravan, davanti un bancone da bar con l'insegna.
Quarantadue gradi.
Litva sentiva le scariche che confondevano la musica di Radio Post-Bologna. Da anni non trasmettevano notiziari, ma le stesse canzoni agli stessi orari: le conosceva a memoria. Anche a Bologna le cose non dovevano andare così bene, ma quanti gradi facessero lì non era dato saperlo. Chi passava dal bar di Litva non aveva notizie. Sua madre, prima di morire per le ustioni di quel sole bastardo che aveva prosciugato ogni cosa, le aveva spiegato che il bar, a dispetto di ciò che poteva pensare, era un buon posto:
«Non andare via, bambina. Qui c’è acqua.»
E che era bene tenere sempre accesa la radio:
«Non si sa mai che qualcuno si faccia vivo.»
Negazioni, divieti mascherati da consigli. Poi era morta e la radio aveva continuato a trasmettere un eterno replay. La stupida canzone d’amore delle 12:15 diceva Perdono. Adesso erano le 19:00 perché Cher cantava If I Could Turn Back Time. Sua madre diceva che Cher sarebbe vissuta in eterno.
Litva finì di spolverare i bicchieri coperti del solito strato di sabbia e li riappoggiò sul bancone affacciato al deserto. Si spolverò le mani sulla maglietta attillata e guardò allo specchio quell’unica ruga al centro della fronte che da un po’ si faceva troppo profonda. Fuori, sulla sabbia, l’auto arrugginita di suo padre. Accese l’insegna del bar con un 3 al posto della B, e salì a leggere nella sala di vedetta. Non era detto che passasse qualcuno, più tardi avrebbe dormito nel caravan.
Dall’alto scorse subito la macchia nera del Camminatore che si avvicinava. Procedeva eretto, il passo regolare, coperto da una nuvola di indumenti che sfarfallavano nella brezza. Intravedeva un cappello a tese larghe e, forse, un fucile gli pendeva al fianco. Di certo c’era un fucile: nessun Camminatore viaggiava disarmato. Litva, che aveva i capelli biondi di suo padre e il nome del Paese da cui era partito per scavare pozzi, girò al contrario il cappellino da baseball e scese di nuovo dietro il bancone. Attese, le mani vicine alla pistola che teneva nascosta lì sotto. In quel deserto di sabbia che da quarant’anni corrispondeva al fondo del mar Adriatico, il suo era l’unico bar a incrociare la pista dei Camminatori che da Rimini puntavano all’oasi di Pola, dove si narrava ci fosse abbondanza d’acqua.
Il passo dell’uomo non mutò avvicinandosi al melodrammatico edificio costruito coi pezzi di ciò che un tempo era affondato. Gli sgabelli li aveva ricavati da pneumatici di auto che non sarebbero mai ripartite. Dietro al Camminatore vedeva la colonna di fumo che segnalava Rimini a chi se l’era lasciata alle spalle. Serviva a tracciare la rotta: Pola non facilitava il compito di raggiungerla.
L’uomo si fermò poco distante, lasciò sventolare i teli neri, gli occhiali da sole puntati su di lei. Lei calcolò fossero alti uguali, altrettanto magri. Ma i grassi erano estinti. Fece scorrere la mano più vicino all’arma.
«Posso aiutarti, Camminatore?» chiese quando l’altro si fermò poco al di là degli sgabelli.
L’uomo si guardò ancora intorno, poi fece scivolare il fucile a terra e si avvicinò, le mani alzate.
«Hai acqua?» chiese con voce sottile.
«La migliore della zona. L’unica.»
Litva accennò un sorriso. Si alzò una folata di vento che mosse le vesti nere.
«Che vuoi in cambio?»
«Crediti, cibo. Un libro che non ho letto.»
«Sei troppo pallida per essere di qui.»
«A volte il caso unisce persone diverse.»
«Intendi Dio.»
Il Camminatore si avvicinò e abbassò le mani. Cominciò a togliersi gli strati di teli che l’avvolgevano. Pareva volesse fermarsi a lungo.
«Va bene anche Dio. Allora cos’hai da darmi?»
Fu quando si tolse il cappello e gli occhiali che Litva scoprì si trattava di una donna. Capelli neri, viso squadrato da lottatore, occhi così verdi che non si ricordava più di quel colore: lì era tutto giallo.
«Acqua. E pago con questo.»
Fece cadere sul bancone un volume dalla copertina blu. Litva lo prese e sul dorso lesse Jane Austin, Romanzi.
Aveva seppellito sua madre poche dune più in là, lontano dai Camminatori che avevano provato a fregarla e che nessuno cercava. Aveva scavato tra le conchiglie e l’aveva lasciata lì a godersi il fondo di quel mare scomparso, ma i libri li aveva conservati, e Jane Austin le risultava nuovo.
«Allora bellezza?» chiese la Camminatrice. Arricciò le labbra e le mandò un bacio.
«Dipende da quanta ne vuoi.»
L’altra si sporse sul bancone: «Direi che me ne merito un bel po’. E magari un posto per la notte.»
Le sgorgò dal petto una risata volgare.
Litva estrasse la pistola da sotto il bancone, l’altra si voltò per tornare al fucile, ma un unico colpo le trapassò la testa. Cadde, la faccia distrutta dal proiettile in uscita.
Alle 19:25 la radio mandava Petit Pays, Cesaria Evora.
Ripose l’arma, trascinò il corpo e lo seppellì dietro alla prima duna, lontano da sua madre. Sistemò il volume nello scaffale a fianco agli altri con la stessa copertina blu, la carta delicata e il segnalibro di seta.
Per quanto le fosse restato da vivere avrebbe avuto da leggere. Di acqua no. Poi avrebbe camminato anche lei.