Carissima Adele,
perdonami se non ti ho scritto prima ma il mio arrivo è stato piuttosto travagliato. Il viaggio in treno è andato bene, un po’ lungo forse ma il libro che mi hai regalato è stato di grande compagnia. Per la prima volta ho capito quanto sia triste non avere nessuno che ti aspetti in stazione. Non mi ero mai soffermata ad osservare quante cose accadono alla fine di un binario. È così bello quando c’è qualcuno che ti abbraccia, che ti prende la valigia, che ti chiede come è andato il viaggio. Piccole cose che, lo ammetto, mi sono mancate. Complice forse anche la nostalgia di casa. Ci ho messo mesi a convincere tutta la famiglia che fosse la decisione migliore. Ma ora devo essere onesta con te, e prima ancora con me stessa: ho avuto paura. Tanta. Di quella paura che ti blocca le gambe. Però poi mi sono detta ad alta voce che era tutto a posto, che la vita è fatta di cambiamenti necessari. E ha funzionato. Trovare l’indirizzo che mi avevano dato non è stato difficile: le indicazioni erano piuttosto precise. E per fortuna la signora Maria era in casa. Mi ha dato le chiavi dell’appartamento, non prima ovviamente che le avessi messo in mano la busta con la mensilità pagata. Mi ha accompagnato riempiendomi di raccomandazioni su come tenere la casa per il periodo dell’affitto e di quanto fosse fastidioso questo “vai e vieni” continuo di persone in cerca di lavoro. Non una sola domanda di circostanza su come fosse andato il lungo viaggio di una ragazza di vent’anni, da sola. La stanchezza era tale che ero quasi felice di non dover fare conversazione. Era tardi e mi importava solo di andare a dormire. La signora Maria fece la rampa di scale con me e mi lasciò davanti all’ingresso di quella piccola casa di ringhiera. La ringraziai e lei se ne andò senza fare troppe cerimonie. Ero lì, con la mia modesta valigia, e non potevo immaginare cosa ci sarebbe stato dietro quella porta. Ebbene, cara Adele, non c’era niente. Una stanza vuota. Un piccolo fornelletto e niente di più. Non un letto, non una sedia, non un tavolo. Allora mi sono seduta a terra, mi sono presa un momento per fare un bel respiro e per riflettere sul da farsi ma non riuscii né a respirare né a pensare. Non riuscii a fare nulla. Se non piangere. Non potevo smettere, è stato come se qualcuno avesse tolto la sicura delle lacrime. E credimi, non pensavo di averne tante. La mattina dopo mi sono ritrovata stesa a terra, rannicchiata nel mio cappotto e con ancora addosso le scarpe. Il sole entrava dalle tende sottili e questo bastò a rincuorarmi. Così mi sono preparata e sono uscita. L’indomani avrei iniziato il lavoro da contabile alla fabbrica di scarpe, avevo bisogno di mangiare e di riposare per rendermi presentabile. Era giorno di mercato e c’era un gran fermento. Oh Adele, quanto sono belli i mercati! Sono l’anima di un paese, qualsiasi paese. Quei colori, quei profumi, quei rumori ti sussurrano che puoi trovare casa anche lontano da casa. Mi lasciavo trasportare tra le bancarelle di frutta, di tessuti, di pentole e di tappeti. Poi, ad un tratto, notai un ragazzo. Lo allontanavano come fosse un gatto randagio. Aveva lo sguardo di un bambino. Gli sorrisi. Dietro di me una voce familiare. Era la signora Maria. Ritenne opportuno avvertirmi di “stargli lontano perché quello era nato male, era tutto scemo”. Che “carina” pensai, ma non sarebbe stato meglio avvisarmi che la casa che mi stava affittando fosse priva persino di un letto? D’altra parte era tutto quello che potevo permettermi. Comunque la giornata trascorse tranquilla, con i soldi che mi ero portata da casa comprai delle coperte per preparare una sorta di giaciglio di fortuna, in attesa di capire come e dove acquistare un letto vero. Era sera e stavo preparando la cena con il piccolo fornelletto. I vestiti buoni per il giorno dopo erano pronti. Ad un tratto bussarono alla porta. Cosa vorrà adesso la signora Maria? Mi sono chiesta. Ma quando aprii la porta non mi trovai davanti nessuna signora Maria, bensì il ragazzo che avevo visto al mercato. Lo ammetto Adele, mi sono talmente spaventata che ho fatto un gran balzo all’indietro. E in quell’istante mi sono tornate in mente tutte le raccomandazioni mai ascoltate sul non dare confidenza agli estranei, sull’essere diffidente e, soprattutto, sul non aprire la porta di casa senza prima aver controllato chi fosse. Non sapevo cosa fare e pensai (sì, davvero) di urlare finché avessi avuto fiato in gola. Ma proprio mentre stavo per lanciare un bel grido possente vidi che il ragazzo aveva qualcosa con sé. Era una sedia. La lasciò sull’uscio, andò giù dalle scale e poco dopo tornò con un tavolo. Di nuovo tornò giù e ritornò con un materasso. Sì Adele, quel ragazzo con lo sguardo da bambino arredò per me una stanza vuota che, all’improvviso, divenne casa. Con una sedia impagliata male, un materasso vecchio e un tavolo con tre gambe. Avevo trovato un amico. E dire che era “tutto scemo”.