Ehi, amico. Non ti accasciare sul bancone così, sarai mica già ubriaco?
Mi spiace. Non sei l’unico. Che ti do da bere?
L’abbiamo finito il whisky. Ti va dello scotch? Riscalda che è una meraviglia, fidati di un vecchio barista.
Il pianoforte? No, amico. Non lo suona più nessuno. Lo lascio lì, nel caso si facesse vivo qualche talento.
Sì, qualche talento. Qualunque spaventapasseri che passa da questo bar a farsi un goccetto può nasconderne uno.
Non dirmi che non ci credi, amico. Io credo nel talento, soprattutto credo nel fatto che si nasconda. Mica lo trovi dove ti aspetti.
Ti dico solo una cosa. Tengo sempre due sgabelli al pianoforte per non dimenticarmi che questo bar è stato testimone del più grande talento mai vissuto in questo buco di città.
Sto parlando dei gemelli G. Erano due scriccioli quando sono venuti qui da soli la prima sera. Si sono messi a strimpellare quel pianoforte e allontanavano i clienti, così li cacciavo via, ma ritornavano di soppiatto ogni volta. Amavano quel maledetto coso – mica ce l’avevano un pianoforte, a casa. Venivano sempre insieme nel pomeriggio e si esercitavano, io preparavo tutto per la sera e loro intanto suonavano e stonavano. E pian piano hanno smesso di stonare e suonavano bene. C’è voluto poco, in realtà. Nel giro di un anno il bar era pieno zeppo grazie alla loro musica. Questo, amico, è talento.
Ma che spartito. Imparavano con quello che sentivano alla radio. Gli piaceva il blues, il rock, queste cose qui. E per lo più se le inventavano al momento, insieme, e non ripetevano mai niente.
Lo so che non mi credi, sembra una storiella campata per aria da un barista in pensione. Te li presenterei volentieri, ma è da un bel pezzo che non si fanno vivi. Né l’uno, né l’altro.
No, non credo siano diventati famosi. Negli anni ne hanno suonate di diavolerie magnifiche, ma non sapevano mica scriverle. So solo che hanno litigato e non sono più venuti. Gli volevo bene come alle mie bambine – anche loro sono donne ora, per la miseria. Alla fine, io ero una sorta di genitore per loro, dopo che quel delinquente di padre che si ritrovavano li ha quasi ammazzati.
Brutta storia. Un ubriacone e violento, il signor G. Per fortuna non se la sono vista brutta, poi, vivevano con la zia. Ma quella stava sempre fuori casa, e loro pure, perché erano sempre qui. A pensarli adulti, ora, mi si spezza il cuore.
Erano in gamba, sicuramente avranno un lavoro, mogli, figli. Ma non credo che suonino più. Anzi, ne sono certo.
Perché, amico mio, se fossero ancora uniti, verrebbero qui. A suonare su quel pianoforte con cui sono cresciuti. Ci potrei giocare il bar. E se non si parlano più – t’ho già detto che sono sicuro – non suonano neanche più, neanche da soli. Sì, fuma pure, amico.
Sicuro come la morte, amico. Ora sono solo due uomini che passavano le serate qua, animando un po’ la gentaglia mezza morta. Ci scommetto i baffi che i gemelli G. non suonano e non sono più neanche fratelli. Sono sconosciuti che si somigliano e si sentono incompleti. Ancora scotch?
Oh, ma non ci arrivi? È ovvio che non suonano più. Hanno sempre suonato insieme, come un'unica persona con quattro mani. Mi dici come farebbero ora da soli? Suonavano bene solo uno a fianco all’altro – dovevi vederli. L’avevano visto in TV, quando ancora avevano la TV in casa, prima che il padre la distruggesse con una mazza da baseball. Me l’aveva raccontato Thomas – quello più rompipalle.
L’altro si chiamava Johnny. Non parlava, lui, ma anche se erano diversi c’era fra loro una complicità unica. E questo lo sentivi con le orecchie e con l’anima. Ti bastava passare di qua, per la strada, che la musica ti pescava come una rete. Tutti entravano e mi chiedevano che serata c’era, chi era il musicista, e poi rimanevano di sasso quando vedevano due ragazzotti spettinati e vestiti di jeans al pianoforte.
Chi lo sa, io so solo che da lì ho iniziato a credere nel talento innato. E loro erano legati da questo talento, amico. Non erano solo gemelli. Poi, come al solito, è arrivata una donna a rovinare tutto.
Sì, innamorati della stessa ragazza. Puoi crederci? Così ironico.
Ah, non so come sia andata, ma è stato l’inizio della fine. Hanno litigato di brutto, me lo ricordo – quanti vetri rotti ho raccolto da terra quella notte.
Non sono mica tutti santi, che perdonano chi li accoltella alle spalle. Loro sicuramente non sono cresciuti su dei santi, ne hanno fatti di casini, ma mi piange il cuore a pensare che una volta su quei due sgabelli al pianoforte si sedevano insieme, neanche ci arrivavano coi piedi per terra, e facevano qualcosa che nessuno aveva mai fatto. Non è rimasto più niente, se non due sgabelli e tanti bei ricordi.