La chiamò per nome. Lei si volse e gli sorrise.
È molto che non ci vediamo.
Molto, sì. Una vita.
Aveva quasi dimenticato il suo modo di ridere, di piegare graziosamente la testa di lato mentre lo faceva. Era sempre la stessa, in fondo. Dieci anni di più, ma sempre la stessa.
Il tappeto mobile li trascinava lungo l'interminabile corridoio dell’aeroporto, nella fredda luce dei neon, verso l'uscita. Sei arrivata adesso?
Sì. Adesso.
Lavoro?
No, vengo a trovare mia madre, di tanto in tanto. Non così spesso quanto vorrei. Tu?
Mai partito. Sempre rimasto qua. Torno da una vacanza.
Sei solo?
In che senso?
Rise di nuovo. In nessun senso. Vai in vacanza da solo?
Sono andato a vedere qualcuno.
Qualcuno di importante?
Fu lui a ridere stavolta. Come sei curiosa. No, niente di importante, comunque. Una storia. Una lampadina che si accende o si spegne. A comando.
C’erano segni di stanchezza nel suo viso dolce e serio, un principio di rughe nelle pieghe vicino alle labbra. Non portava trucco, i capelli tagliati corti, i grandi occhi castani intelligenti e un po' tristi. Quel suo certo distacco guardingo, quel non volersi compromettere che conosceva così bene. È il tuo stile, accendere e spegnere le storie, a comando.
Ce l'hai ancora con me? Dopo tanto tempo.
Il nastro era finito. Raccolsero ciascuno il suo trolley e cominciarono a camminare a passo rapido verso l’area taxi. No. Hai ragione tu. Dopo tanto tempo. Le vetrate esterne si aprirono automaticamente al loro passaggio, si accodarono nella fila di attesa. Piove, fece lei, uscendo un piccolo ombrello dalla tasca dell'impermeabile.
Ti penso, sai. Spesso.
Lei lo guardò con aria distratta, come se quello che aveva appena detto non avesse alcuna rilevanza. Mi permetti di non crederti?
Le sfiorò la punta del naso con un dito. Ne hai tutto il diritto. Stava per giungere il loro turno. Dividiamo il passaggio? Per risparmiare, non per altro.
Lei si volse ad osservare il cielo grigio di nubi. Preferirei di no. Non ti offendere.
Non mi offendo. Il tassista aprì il portellone posteriore del van e carico’ il suo Samsonite rosa. Ciao allora.
Ciao. Mi ha fatto piacere rivederti.
Anche a me. Esitò un attimo prima di chiuderle la portiera. Sarebbe dovuta andare diversamente.
Sarebbe dovuta andare diversamente. Ma tu sei così. Tirò verso di sé lo sportello, che si richiuse con un tonfo secco.
Rimase fermo a guardare il taxi che si allontanava. Il signore anziano dietro di lui picchio’ leggermente sulla sua spalla. Vada, tocca a lei.
Mi dica: che farò senza Euridice?
Come, fece il vecchio.
Nulla. Nulla, mi scusi.
Fischiettando si sistemò nel sedile posteriore. Il tassista lo fissava dallo specchietto retrovisore. Dove andiamo?
Conosce Cristoph Willibald Gluck?
Prego?
Niente, non importa. Al centro. Un locale dove si beve e dove ci si possa ubriacare. Scelga lei.