Parole ruvide, graffianti, seminiamo
nella gestuale ritualità dei nostri fuochi
come se da loro chissà cosa dipendesse,
in un articolarsi di scalfitture e suoni
che di piegarne il volo è brusìo distale.
Ma perché non domandarsi, invece,
come lasciare che tutto quanto emerga
finché la luce non si ritragga all’ombra?
Per quanti orgasmi tu possa darmi, vita,
la messe dei campi è madida di luna
e mille torce accese alle finestre arrese
tremano come canzoni di fanciulle mute,
mentre nei rovi va sgomitando il buio
che spinge le nostre anime in disparte.
Non parole più, non sprechi di afflato,
è sempre stato fulgido nell’abbaglio
il tuo rimare che stillerà di piombo fuso.
Se il mare giungesse qui, con le sue onde,
a dissotterrare ancora il tarlo, io
attonito, sorpreso, andrei lontano,
a tenderti la mano nel mulinìo del vento.